Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliNell’ambito delle celebrazioni del secondo centenario della National Gallery di Londra, «Il giudizio di Paride» di Pieter Paul Rubens, olio su tavola risalente al 1632-35, è ritornato in esposizione dopo 14 mesi di restauro da parte del National Gallery’s Conservation Department.
La fatidica scelta di Paride fra le tre dee Afrodite, Pallade e Hera fu dipinta più volte dal maestro olandese, ma questa versione realizzata nell'ultimo decennio della vita, quando era al culmine di fama, successo, influenza e capacità immaginativa e pittorica, senza dubbio si situa fra le sue opere più iconiche e paradigmatiche della sua poetica.
L’intervento di restauro ha fuso ricerca scientifica e storico artistica integrata: l’analisi scientifica degli strati del dipinto e le tecniche attuali di imaging (spettroscopia di imaging a riflettanza infrarossa-Ris e fluorescenza a raggi X-Xrf), unite a tecniche investigative non invasive, hanno permesso alla restauratrice Britta New e a Bart Cornelis, curatore della pittura olandese e fiamminga, di confermare che il dipinto è stato restaurato più volte dopo la morte dell'artista nel 1640. In particolare nel periodo della permanenza francese fra XVII e XVIII, con una pesante rielaborazione della composizione fra 1676 e 1721 da parte di un ignoto artista francese incaricato da uno dei due proprietari di allora: il secondo duca di Richelieu Armand-Jean de Vignerot du Plessis (1629-1715), pronipote del cardinale-ministro, oppure il reggente di Francia Philippe duca d'Orléans (1674-1723). Mano ignota che tuttavia abilmente seppe con pruderie inaspettata (e incoerente nel clima culturale e religioso della Francia gallicana e anticontroriformistica del Re Sole) edulcorare l’intensità erotica e quasi voyeuristica della scena pur senza nascondere la nudità delle dee. Dalla Francia con la Rivoluzione il dipinto arrivò in Gran Bretagna nel 1792 e fu infine acquistato dalla National Gallery nel 1844. L’esame delle tavole del dipinto e le notizie sulla provenienza del quadro inducono inoltre a ritenere che sulla tavola sia intervenuto intorno al 1770 il restauratore di tavole Jean-Louis Hacquin, che nello stesso anno lavorò su un’altra tavola di Rubens proveniente dalla famiglia reale francese.
L’analisi del dipinto rende possibile individuare quali pentimenti siano stati fatti da Rubens stesso e quali siano invece le aggiunte successive di mano di altri pittori e anche determinare quali pigmenti siano stati utilizzati: non solo, nel cielo, il consueto blu smalto che nel tempo sbiadisce in grigio-azzurro, ma anche il blu oltremare ottenuto da lapislazzuli, assai più pregiato e costoso, usato nel mantello blu di Afrodite. Quanto ai vari pentimenti nella composizione, autografi di Rubens sono quelli di gambe, piedi e vesti delle dee più volte alterati e il collo del pavone, simbolo di Hera, ora piegato verso il basso per sussurrare al cane di Paride e originariamente eretto. Allo stesso modo, Rubens eliminò un primo putto che volava sopra il capo di Afrodite e voltò il viso di un altro putto nell'angolo in basso a sinistra del quadro, mentre l’anonimo pittore francese attivo sulla tela fra Sei e Settecento coprì il Cupido che Rubens aveva originariamente posto accanto a Venere, e trasformò il superstite putto di mano rubensiana (nell’angolo in basso a sinistra) in un nuovo Cupido aggiungendogli le ali.
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