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Stefano Boeri
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Nasciamo diseguali. Tutti noi. Tra di noi. Non solo per i geni che ereditiamo, ma per la famiglia, il luogo, la parte del mondo in cui veniamo alla luce. Le diseguaglianze e le differenze segnano fin dall’inizio la vita di ciascuno di noi. A volte come opportunità, a volte come vincoli. Possono agire come risorse, come radici identitarie da modificare nel tempo o come catene che ci impediscono di cambiare, lacci da cui liberarsi.
Dentro le sale di Triennale Milano, per sei mesi, parleremo di diseguaglianze. Lo faremo parlando di città e spazi, ma anche di corpi e vite. Lo faremo grazie a una serie di esposizioni che mostreranno come ricchezze immense siano oggi nelle mani di un pugno di individui. E di come oggi nascere poveri sia una condizione irreversibile per milioni e milioni di abitanti del pianeta. Lo faremo raccontando di come le diseguaglianze, quelle con cui nasciamo e quelle che incontriamo, o addirittura creiamo, nel corso del tempo, agiscano sulle aspettative di vita e di salute di ciascuno di noi. Parleremo dei ghetti e delle guerre, massima espressione di diseguaglianze così rigide, così profondamente ingiuste, da trasformarsi in crudeli dispositivi di morte.
Ma nella 24ma Esposizione Internazionale c’è posto anche per le buone idee, le politiche attente, i progetti migliori che sanno, a volte, trasformare le diseguaglianze in fertili differenze, in qualità condivise che permettono a individui, pur differenti, di scambiarsi valori, arricchendosi reciprocamente. Come sappiamo, la dialettica e il conflitto tra diseguaglianze e differenze non sono oggi in scena solo nelle città del mondo e nei grandi spazi della geopolitica. Agiscono anche nei corpi, nei nostri corpi e in quelli di chi frequentiamo, nei corpi di tutti i soggetti viventi, dove diversità originarie possono diventare fertili differenze o tragiche diseguaglianze.
Con Inequalities, Triennale non pretende dunque di esaurire un tema, ma piuttosto, come ha sempre fatto, di suggerire delle riflessioni e di proporre alcune soluzioni. Pensieri e idee che riguardano le diseguaglianze da cui nasciamo e quelle che nel corso della vita incontriamo e costruiamo. Diseguaglianze che a volte subiamo, oppure altre volte riusciamo a trasformare in vantaggi da offrire agli altri come un dono: come un valore aggiunto alla loro vita.
Nel suo ultimo libro, History for Tomorrow, Roman Krznaric affronta il tema della rimozione del passato, dell’amnesia verso la storia, della crescente fatica a superare quella sorta di tirannia del presente cui sembriamo condannati dalle frenetiche vicende della geopolitica contemporanea e dalla strapotenza dei social media. Presentando nei capitoli una lista di grandi sfide per il futuro, dal superamento della dipendenza dell’energia fossile all’abbandono delle abitudini consumistiche, dal rilanciare la fiducia nella democrazia fino al governo consapevole della rivoluzione nei campi della genetica, Krznaric ci invita a cercare nelle vicende umane dell’ultimo millennio, nelle innovazioni sociali più ancora che in quelle tecnologiche, la chiave per risolvere queste grandi scommesse.
Da più di cento anni, dal 1923, Triennale propone di guardare il mondo scegliendo ogni volta una particolare prospettiva tematica. Le Esposizioni Internazionali sono state un vero e proprio termometro dei grandi dibattiti che l’umanità ha affrontato nel corso di un secolo: la Ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale nel 1947, la produzione in serie nel 1951, il rapporto tra arte e artigianato nel 1960, la questione ambientale nel 1992. E, per quanto sia difficile credere che un’istituzione possieda un’intelligenza collettiva che le permetta di sviluppare un sapere cumulativo e crescere aggiungendo via via esperienze e memorie nel suo archivio, è pur vero che la serie cronologica dei temi delle Esposizioni Internazionali ha sempre seguito una sua sequenza logica. Se abbiamo scelto come oggetto della 24ma edizione quello delle disuguaglianze, è anche perché pensiamo che oggi questa sia la prospettiva migliore per mantenere viva l’attenzione sui grandi interrogativi dalle nostre ultime due Esposizioni e per confermare la scelta di Triennale di fungere da sensore della contemporaneità, collettore di idee, progetti e ipotesi che l’umanità, di volta in volta, affronta nel corso dei decenni.
La consapevolezza del carattere strutturale del tema delle disuguaglianze rappresenta una sorta di precondizione per affrontare le altre sfide epocali della specie umana. Negli ultimi anni siamo infatti diventati consapevoli che non è più possibile promuovere una politica di miglioramento ambientale, di riduzione di danni del cambiamento climatico e dei suoi effetti sulla vita quotidiana, senza considerare in che misura tali politiche e azioni agiscano nell’accentuare o ridurre le disparità presenti nelle nostre società. Scegliere questa prospettiva significa considerare le abissali distanze che dividono il mondo, in cui i Paesi più ricchi sono responsabili del 50% delle emissioni ma sono i meno colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale, mentre i Paesi più poveri, che contribuiscono solo al 12%, sono i più colpiti dagli effetti che si sommano a una già drammatica condizione di indigenza. Significa riflettere sulle crescenti voragini che accompagnano il rapporto tra ricchezza e povertà, osservando come negli ultimi dieci anni il patrimonio dei cinque miliardari più ricchi al mondo è più che raddoppiato, mentre la ricchezza del 60% più povero dell’umanità non ha registrato alcuna crescita. Significa riconoscere che una persona su quattro vive in insediamenti informali, che la quota di abitanti che vivono in condizioni di povertà assoluta è in costante crescita, mentre è in continua riduzione quella dei cittadini che dispongono dei livelli più alti di concentrazione delle ricchezze.
Sarebbe tuttavia un grande errore pensare che guardare il mondo dalla prospettiva delle disuguaglianze ci debba condurre a seguire una logica binaria, a separare il mondo in due metà. Se proviamo a capire come l’Intelligenza Artificiale condizionerà le nostre vite si aprono non solo degli interrogativi preoccupanti sul ruolo delle grandi corporation digitali nel controllare la produzione dell’immaginario e del mercato globale delle informazioni, ma anche delle inedite, e per certi versi appassionanti, domande circa la possibilità che un potenziamento delle tecnologie di rappresentazione e simulazione della realtà possano offrire a tutti, come è stato con Internet, una nuova potentissima piattaforma di verifica e controllo delle interazioni umane. Allo stesso modo, una prospettiva binaria non ci aiuta a capire come nelle vite di milioni di giovani individui le differenze di genere stiano diventando oggi delle scelte finalmente libere da ogni forma di determinismo biologico, da ogni codificazione in sfere sessuali prefissate. La perdita di efficacia di qualsiasi rigida organizzazione binaria non fa che confermare come la riflessione sulle crescenti sproporzioni nella condizione presente dell’umanità richieda oggi una pluralità di prospettive e di chiavi interpretative. Piuttosto che a suddividere il mondo in due metà, in poche e riconoscibili classi sociali, guardare il mondo dal punto di vista dell’esacerbazione delle disuguaglianze ci conduce a osservare la vastità delle differenze di cultura, fede, stile di vita, propensioni individuali che rendono così eterogenee e ricche di varietà le società urbane contemporanee.
Disuguaglianze, differenze, diversità, distanze, squilibri non sono dunque sinonimi, ma possibili e parallele chiavi di lettura per decifrare il mondo contemporaneo. Per navigare all’interno di questa ricchezza semantica, abbiamo raccolto i pensieri, le idee e i progetti delle menti più brillanti e interessanti in diversi campi disciplinari e provenienti da tutto il mondo attorno a due prospettive principali, due grandi ombrelli tematici strettamente interconnessi: la geopolitica e la biopolitica delle disuguaglianze.
A introduzione, e punto di incontro tra le due dimensioni, Forme di disuguaglianze di Federica Fragapane, trasformando i dati in disegni, racconta le forme di disuguaglianza che si incontrano nel mondo e nelle diverse mostre: il rapporto tra ricchezza e povertà, l’asimmetria tra chi emette e chi ne subisce le conseguenze, la povertà urbana, le grandi migrazioni e la mobilità sociale, le differenze di genere e di accesso alle risorse, la diversità di aspettative di vita nel mondo, l’impatto dell’uomo sul pianeta e la biodiversità dei nostri corpi. Il piano terra del Palazzo dell’Arte è dedicato alla dimensione geopolitica, con riflessioni riferite soprattutto, ma non solo, alle città. Le città, che oggi occupano solo un 3% delle terre emerse del pianeta, producono da sole il 75% di emissioni e ospitano il 60% della popolazione mondiale che si stima arriverà al 70% entro il 2050. Le città del mondo, dunque, sono il luogo dove gli sforzi per la riduzione del surriscaldamento globale e per il superamento delle disuguaglianze si intrecciano. Sono il luogo dove la sfida dei prossimi decenni verrà vinta o persa.
Senza il protagonismo delle città, senza una loro azione coordinata e condivisa, se non sapranno ridurre e contenere le disuguaglianze di reddito, di classe sociale, di formazione scolastica, se non sapranno affrontare le disparità nell’accesso ai servizi, alle informazioni, ai dati, qualsiasi politica di transizione ecologica sarà destinata a fallire. Si tratta di disuguaglianze relative all’accesso: ai luoghi, ai beni, alle tecnologie che promettono di ridurre gli effetti del surriscaldamento globale sulle nostre vite ma che rimangono ancora un privilegio per pochi. Senza città più eguali, più capaci di distribuire a tutti i cittadini, e non solo ad alcuni, i vantaggi di un’aria più pulita, dell’acqua potabile abbondante e di una dieta equilibrata; senza città che accettano di affrontare gli enormi e crescenti squilibri economici, culturali e abitativi tra alcune minoranze sempre più ricche e la maggioranza dei cittadini sempre più povera; senza tutto questo, nessuna reale transizione ecologica sarà mai possibile.
Di questo ci parla la mostra Cities, a cura di Nina Bassoli che, costruendo una geografia immaginaria, un atlante di luoghi, temi e progetti provenienti da tutto il mondo, si interroga sulla nuova dialettica tra ricchezza e povertà, società e comunità, ecologie e città, e le sorprendenti forme in cui queste possono manifestarsi oggi all’interno dei contesti urbani. In apertura, due casi emblematici: l’antico conflitto tra Israele e Palestina con The Book of Amos di Amos Gitai, e l’incendio della Grenfell Tower a Londra nel 2017, una storia che racchiude in sé disuguaglianze a scala urbana, architettonica, sociale e politica, raccontata attraverso un’installazione curata da Grenfell Next of Kin. Le città, storicamente luoghi delle possibilità, ma oggi spazio di esacerbazione delle differenze, sono l’oggetto delle partecipazioni nazionali, che si sono concentrate su una specifica dimensione urbana per costruire una riflessione corale in cui si possano individuare le proposte politiche più avanzate per una società in cui le differenze costituiscano una risorsa da ricomporre in nuove forme di comunità.
A introduzione dei padiglioni, il gruppo di lavoro del Politecnico di Milano, coordinato da Sandro Balducci, con Lo spazio delle disuguaglianze. Ambiente, mobilità, e cittadinanza, struttura tre affondi tematici con una prospettiva territoriale a duplice scala, quella planetaria e quella locale con la città di Milano: il differente impatto di fenomeni climatici estremi e di esposizione prolungata a condizioni dannose per la salute; le diverse opportunità di accesso alle risorse e le limitazioni alla mobilità; la mancanza di un pieno diritto di cittadinanza dovuto a processi di esclusione da case e servizi. Le disuguaglianze a scala urbana si manifestano con forza nelle diverse possibilità di accesso alle risorse: se il 24% della popolazione urbana globale abita in insediamenti informali, significa che una persona su quattro vive senza accesso ad acqua potabile, servizi igienicosanitari moderni o energia per riscaldarsi, cucinare, avere illuminazione, caricare il telefono.
Le città del mondo continueranno a crescere nei prossimi anni, alimentate da grandi flussi migratori che nascono dalla fuga da conflitti, politiche, aree in corso di desertificazione ed effetti della crisi climatica. Se non affrontato, questo fenomeno acuirà le disuguaglianze nell’accesso a ciò che è fondamentale per la vita: la casa, i beni, le risorse, l’istruzione. Oggi, nel mondo, ci sono infatti 103 milioni di persone sfollate, un numero che è raddoppiato negli ultimi dieci anni e che continuerà a crescere con ancor più rapidità. La mostra Verso un futuro più equo a cura della Norman Foster Foundation propone idee, prototipi, politiche e tecnologie per provare ad agire sull’enorme asimmetria di accesso alle risorse fondamentali per abitare che attraversa il nostro pianeta a diverse latitudini.
Guardare la geografia del mondo attraverso le disuguaglianze ci consente di comprendere gli equilibri, e soprattutto i disequilibri, geopolitici che caratterizzano le nostre vite. Nell’Atlante del mondo che cambia, le mappe di Maurizio Molinari ci permettono di leggere le profonde disparità che segnano le nostre società, le nostre città, scardinando la tradizionale dicotomia tra Nord e Sud del pianeta, e rivelando una molteplicità di gerarchie e polarizzazioni che ne ridefiniscono i confini e le distanze. È però guardare all’interno delle disuguaglianze, immergendosi nei paradossi che spesso queste generano, che consente di riconsiderare scenari apparentemente irreversibili. Questo è ciò che prova a fare l’approfondimento dedicato alla città di Milano Milano. Paradossi e opportunità, coordinato da Seble Woldeghiorghis e curato da Damiano Gullì con Jermay Gabriel Michael di Black History Months Milano, raccontando, a partire dalle analisi del Social Inclusion Lab dell’Università Bocconi, alcune delle contraddizioni della città che, se intercettate, possono essere trasformate in risorse mobili, adattabili, lavorabili. Riflettere sulle disuguaglianze significa anche comprendere la necessità di dare voce, di ascoltare e di prendersi cura degli altri.
Radio Ballads, curato da Serpentine con Hans Ulrich Obrist, Natalia Grabowska e Damiano Gullì, è un progetto che prende il nome da una serie radiofonica trasmessa dalla BBC tra il 1957 e il 1964 che, concentrandosi sulle esperienze e le lotte dei lavoratori, attraverso una combinazione di ballate e voci delle comunità, raccontava la vita nel Regno Unito in un periodo di rapida crescita e cambiamento. In mostra sono proposte ballads contemporanee, che danno voce al lavoro di cura e a come la collaborazione artistica possa diventare lo spazio collettivo per affrontare esperienze di disagio mentale, violenza domestica, lutto e assistenza di fine vita. Sullo scalone, tra un piano e l’altro, fisico e concettuale, dell’Esposizione, l’installazione 471 giorni di Filippo Teoldi, restituisce, attraverso la resa fisica dei dati, una delle più drammatiche manifestazioni delle disuguaglianze: la guerra, e in questo caso il conflitto tra Hamas e Israele, che dal 7 ottobre 2023 alla fragile tregua del 19 gennaio 2025 ha causato oltre 48mila vittime.
Il primo piano del Palazzo dell’Arte è dedicato alle implicazioni biopolitiche delle disuguaglianze, sociali, economiche e di genere, e in particolare alle abitudini, stili e aspettative di vita nelle società contemporanee partendo dall’osservazione della biodiversità dei e nei corpi sociali. La biopolitica delle disuguaglianze mette in luce le immense differenze che esistono nella possibilità nel corso della vita di accedere a risorse che non erano disponibili nelle condizioni originarie. Nei Paesi Ocse, ad esempio, ci vogliono in media quattro-cinque generazioni affinché un bambino nato in una famiglia a basso reddito raggiunga il reddito medio del proprio Paese. E se la misura principale delle disuguaglianze è data dalla mobilità sociale, allora sanità, conoscenza, informazione, lavoro, relazioni affettive e sociali, libera sessualità, alimentazione, aspettative di vita in salute, sono solo alcune delle risorse che costituiscono il capitale individuale a cui ogni membro della specie umana dovrebbe liberamente poter accedere.
Le mostre e i progetti speciali che abbiamo raccolto esplorano questi temi, proponendo idee, politiche, storie, e visioni inedite per ripensare le disuguaglianze come fertili differenze. Beatriz Colomina e Mark Wigley, con la mostra «We the Bacteria. Appunti per un’architettura biotica», si interrogano su come la salute, sempre più concepita come l’equilibrio dell’ecosistema dei trilioni di batteri che popolano i nostri corpi e le nostre case, e l’architettura si intersechino. Una lettura originale di questo tema è fornita anche dal film realizzato all’interno del Palazzo dell’Arte da Diller Scofidio + Renfro in collaborazione con Frank Willens. La disuguaglianza all’interno dei nostri corpi è infatti vitale: la riduzione della diversità microbica che ci abita, oggi inferiore del 50% rispetto a quella dei nostri antenati, è tra le cause di molte malattie contemporanee, mentre la crescente resistenza dei batteri agli antibiotici potrebbe diventare la principale causa di morte entro il 2050.
In questo scenario l’architettura gioca un ruolo fondamentale aprendo la possibilità di pensare a un nuovo paradigma di convivenza e collaborazione interspecie in cui microbi e batteri siano nostri alleati piuttosto che dei nemici. Così come la scala dei batteri suggerisce uno spostamento semantico che permette di rileggere e risignificare le disuguaglianze come diversità e risorsa con cui dialogare, anche la prospettiva ecologica invita a considerare le differenze come elementi essenziali di un unico sistema, il pianeta.
Telmo Pievani, con la mostra «Un viaggio nella biodiversità. Otto stazioni sul pianeta Terra», ci propone di cercare all’interno della biodiversità la chiave per smettere di distruggerla: materiali innovativi, modelli di economia circolare, farmaci, rigenerazione delle risorse. La crisi ambientale è a tutti gli effetti una sfida di architettura evolutiva: per contrastare le disuguaglianze e le asimmetrie tra responsabilità e conseguenze del cambiamento climatico, è necessario guardare all’intera specie umana e alla biodiversità di cui è parte. La diversità nei corpi e le diseguali condizioni ambientali in cui si muovono, condizionano la durata e la qualità della vita. Sebbene l’aspettativa di vita media si sia allungata (nel 1900 era di trentadue anni, nel 2021 ha raggiunto i settantuno), esistono oggi forti disparità: in Ciad la vita media si attesta sui cinquantatré anni, mentre in Giappone è di ottantaquattro. A Chicago trent’anni di vita in meno separano i quartieri poveri da quelli ricchi.
Nic Palmarini e Marco Sammicheli, in «La Repubblica della Longevità. In Health Equality We Trust», guardano a come il tempo della vita non sia una questione di destino, ma di accesso alle risorse: la longevità è diventata, forse, la più ineguale delle ricchezze. Considerare le dimensioni fondamentali dell’esistenza per una vita in salute (passioni, sonno, cibo sano, movimento, relazioni) non come privilegi ma come diritti universali e beni comuni, diventa allora un manifesto politico necessario per una popolazione che vive più a lungo. Così come nell’accesso a una vita in salute, anche in quello al mondo del lavoro le disparità biopolitiche risultano evidenti: in Italia, a parità di formazione, le donne guadagnano ancora il 33% in meno rispetto agli uomini. Il gruppo di lavoro coordinato dalla Rettrice del Politecnico di Milano, Donatella Sciuto, con NOT FOR HER. L’Intelligenza Artificiale che svela l’invisibile, esplora, attraverso simulazioni con l’Intelligenza Artificiale, le differenze di accesso e di trattamento legate al genere nei contesti lavorativi.
Ma la storia del presente non è inevitabile e un futuro meno diseguale si può costruire. Su questo si interroga Theaster Gates che riflette sul valore collettivo degli archivi, custodi di tradizioni, storia e memorie che permettono di rintracciare nel passato esempi, modelli a cui opporsi o da cui imparare, «Clay Corpus» esplora il potere, la dignità e l’umanità degli oggetti quotidiani, mettendo in dialogo il ceramista giapponese Yoshihiro Koide e il designer italiano Ettore Sottsass.
Lo sguardo verso la storia è quello che Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa propongono in «Portraits of Inequalities. Pittura di classe», in cui raccontano la funzione sociale delle classi abbienti in un esempio di democratizzazione della sanità: la Ca’ Granda. A Milano, infatti, si conserva una raccolta straordinaria di oltre novecento ritratti dei benefattori dell’Ospedale Maggiore, una collezione di oltre cinque secoli che racconta come le classi privilegiate abbiano scelto di rappresentarsi nell’atto di fare beneficenza nei confronti dei meno abbienti. La disparità tra ricchi e poveri, oggi più che mai evidente, esiste infatti da sempre, a volte più marcata, a volte meno. Ma nella storia si rintracciano episodi di contratti sociali impliciti tra le classi, in cui i ricchi svolgevano, in caso di necessità, la funzione di paracadute sociale per i più poveri.
I corpi tutti, ricchi, poveri, individuali, collettivi, radicali, inclusivi, esclusivi, luoghi di scoperta, battaglia e resistenza sono il soggetto del programma di spettacoli di performing arts a cura di Umberto Angelini, Le disuguaglianze dei corpi, che mette in discussione il superamento di binarismi rigidi, le identità culturali, di genere, geografiche. Infine, di fronte al Palazzo dell’Arte, quattro grandi animali in via di estinzione prenderanno forma in cartapesta: un materiale effimero che, esposto agli agenti atmosferici, si trasforma in un simbolo di vulnerabilità e dissolvimento. In dialogo con i temi delle precedenti Esposizioni, «La fragilità del futuro» di Jacopo Allegrucci è un richiamo alle fratture che caratterizzano il nostro rapporto con il mondo naturale, ma anche un invito alla cura.
Per sei mesi in Triennale parliamo di tutto questo, e ne parliamo con mostre, progetti, idee, prospettive, spettacoli, eventi, performance. E proviamo a sostenere che le disuguaglianze, quando diventano condizioni di freno alle libere traiettorie di vita degli individui della nostra specie, sono la forma perversa e la versione negativa delle differenze che la geografia e la storia hanno determinato all’interno delle comunità umane. Le diversità (di genere, di ubicazione geografica, di tradizioni, fedi, culture e risorse familiari) rappresentano una straordinaria ricchezza per le società, ma solo nella misura in cui possono diventare delle risorse variabili, modificabili, adattabili alle scelte intenzionali e alla libera traiettoria di vita di ogni soggetto vivente.

Stefano Boeri all’inaugurazione della 24ma Triennale Milano. Foto Gianluca Di Ioia