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Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliÈ fatta, il 17 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il Piano strategico del turismo 2017-22 che regolerà l’intero comparto, «un documento di svolta, ha commentato Franceschini, elaborato con il pieno coinvolgimento delle associazioni di categoria e degli esperti del settore, che rafforza l’idea di Italia come museo diffuso e individua nel turismo, sostenibile e di qualità, uno strumento di policy per il benessere economico e sociale di tutti». Il settore vale 171 miliardi di euro, il Piano si sviluppa attraverso 13 obiettivi specifici, 52 linee di intervento, quattro grandi obiettivi: innovazione e integrazione dell’offerta nazionale, maggior competitività del sistema, sviluppo del marketing, governance efficiente e partecipata.
Ne abbiamo parlato con Francesco Palumbo che dal novembre 2015 alla guida della Direzione generale Turismo del Mibact, dopo un passaggio lampo alla Direzione valorizzazione del patrimonio culturale capitolino e molti incarichi alla Regione Puglia nell’ambito della valorizzazione dei beni culturali.
Come è nato il suo Piano, quali strumenti si è dato per la sua reale incisività e qual è stato il ruolo della Direzione generale Turismo?
Il Piano è una novità assoluta per l’Italia, al netto di quello dell’ex ministro Gnudi, che però non è mai stato definitivamente approvato. Appena mi sono insediato, circa un anno e mezzo fa, la Direzione ha avviato il progetto, ha scelto il metodo e ha coordinando i lavori del Comitato permanente.
Siete partiti dal piano Gnudi?
Per non fare l’errore tipico delle pubbliche amministrazioni italiane, ricominciare ogni volta da capo, abbiamo preso ciò che di buono era già stato fatto: il piano Gnudi, il piano strategico del TDLab, il laboratorio del turismo digitale del Mibact e i due incontri di Pietrarsa (ottobre 2015 e aprile 2016), dove abbiamo riunito 400 dei più importanti operatori del settore, individuato e reso comuni priorità e modalità, persino linguistiche, dato che si usavano terminologie diverse per le stesse cose. Da qui è partito l’iter che ha portato al Piano, scritto dal Comitato permanente per il Turismo composto da Regioni, Anci, associazioni di categoria, sindacati, 5 esperti nominati dal ministro, la nostra Direzione generale ecc. Una compagine ampia, che comprende 7 ministeri: Affari Esteri, Economia, Ambiente, Sviluppo Economico, Trasporti, Istruzione e Agricoltura. All’inizio tutti ci chiedevano quanti fondi il Mibact avrebbe messo a disposizione. Ci abbiamo messo parecchio per far capire che bisognava partecipare con proposte, non con richieste o lamentele. Dagli spunti siamo passati alla stesura vera e propria, con 4 macro obiettivi assegnati ognuno a un coordinatore diverso. Per esempio la competitività al mondo delle imprese.
Li spieghi meglio, anche in rapporto al turismo culturale.
Il primo è di riqualificazione del prodotto turistico italiano, con la prima vera strategia di valorizzazione territoriale integrata. Significa non trattare più i vari aspetti in maniera diversificata: monumenti, aree archeologiche, cultura immateriale, spettacoli, cibo ecc., ma sviluppare il tema della cultura italiana nella sua complessità, un prodotto turistico integrato per un’esperienza a 360 gradi.
Eppure, come per il Giubileo, c’è un turismo mordi e fuggi che non fa bene da molti punti di vista.
Esatto, per migliorare la permanenza media di due giorni e mezzo le strategie scelte sono sia di sviluppare nuovi prodotti, sia soprattutto di fare in modo che grandi attrattori come Roma, Firenze, Venezia, Milano fungano da porte d’accesso al resto del territorio, che non è meno ricco. Per esempio il sito Unesco di Venezia non è solo la città storica ma tutta la laguna, da allargare poi alle ville venete. Con il sindaco di Venezia si pensava a una destinazione integrata che arrivasse alle Dolomiti. Si può e si deve offrire una visita più complessa che espanda i flussi sul territorio.
Gli altri obiettivi?
Il secondo è la competitività del mondo delle imprese. Il turismo produce l’11,8% del Pil e occupa il 12,8% dei lavoratori, quindi va trattato per quello che è, uno dei primi settori dell’economia italiana. Il terzo è l’innovazione tecnologica digitale e, più in generale, dei metodi. Stiamo già lavorando a portare il digitale, il wifi e la banda larga nelle destinazioni turistiche per ora non raggiunte dal Piano nazionale banda larga. La maggior parte delle persone prenotano su device digitali, spesso mobili. Se ci rivolgiamo ai Millennials dobbiamo farlo con gli strumenti che utilizzano. Abbiamo un gap da colmare rispetto ad altri Paesi. Per la promozione abbiamo rivoluzionato l’Enit e convenuto con le Regioni di non muoversi in ordine sparso. Il quarto, la governance, implica adeguamento e ridefinizione continui del Piano.
Come?
Con tre metodi: sui temi principali, per esempio la direttiva Bolkestein, con tavoli al Mibact aperti e condivisi dai soggetti interessati; con la produzione di un Piano attuativo annuale; con aggiornamenti biennali dello stesso Piano, poiché dati, flussi e domande del turismo cambiano con rapidità, purtroppo anche collegati agli eventi internazionali.
L’accessibilità è un grosso limite in Italia. Il Sud è tagliato fuori.
Sì, nonostante le tante ricchezze che lo premiano. Franceschini in una nota d’indirizzo ha chiesto di porre l’attenzione su questo tema, e lo stiamo facendo. Il metodo condiviso ha fatto sì che Ferrovie dello Stato sviluppasse il progetto Freccia link, ossia l’intermodalità tra treno veloce e mobilità su gomma per raggiungere città d’arte piccole e medie. Un esempio lampante è Perugia, per il Sud Matera e Taranto. E stiamo sviluppando progetti digitali innovativi per i musei di Reggio, Taranto e il Man di Napoli.
L’Expo a Milano che cosa ha lasciato?
Ha sottolineato la necessità di concentrarsi su una priorità, per un anno l’Italia ha potuto dire al mondo: venite perché c’è l’Expo. Per il turismo internazionale è fondamentale veicolare messaggi precisi, scegliere iniziative di anno in anno che rappresentino punti di riferimento per la promozione. Poi l’Expo è stato un volano per la riqualificazione di Milano, per il suo dinamismo culturale e imprenditoriale.
Le mancate Olimpiadi a Roma sono un’occasione perduta?
È un elemento controverso di polemica politica, non mi soffermerei su questo ma sul fatto di scegliere pochi grandi attrattori da promuovere ogni anno. Bisogna organizzare l’offerta in modo da mandare messaggi chiari. Se non le Olimpiadi, può esserlo Matera 2019, non solo per la città ma per tutto il Centro Sud.
Quali fondi prevede il Piano?
Il Piano è senza dotazione finanziaria diretta, sostanzialmente per due motivi: perché è un Piano strategico, ha un respiro di 6 anni, le dotazioni finanziarie saranno nei piani di attuazione. Perché ci ha permesso di individuare le priorità senza essere ossessionati da quanti fondi ci sono e a chi vanno. Abbiamo potuto ragionare in maniera libera, i fondi sono nella disponibilità dei vari soggetti, i ministeri, le Regioni ecc. fino agli investitori privati. Il budget di ciascuno verrà automaticamente orientato nella direzione del Piano. L’esempio più lampante che è quello di FS, ma pensiamo ai 105 milioni di euro del Mit per le piste ciclabili, i 70 per i cammini e gli 83 per Enit del Mibact, i 20 del Ministero degli Esteri per la promozione delle destinazioni dei voli italiani nel mondo e i 300 dei prossimi anni per il brand «Vivere all’italiana». Sono risorse ben maggiori che se avessimo chiesto a tutti un chip iniziale dedicato. È un metodo premiante.
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