Alberto Dambruoso
Leggi i suoi articoliChe ci fossero dei problemi di comunicazione sulla mostra del Futurismo voluta da Sangiuliano e tuttora in corso alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma se ne era accorto per primo «Il Giornale dell'Arte» che, con Guglielmo Gigliotti, già a metà del 2023 aveva iniziato a intervistare una serie di figure (storici dell’arte, collezionisti e galleristi) legate al Futurismo, in previsione della mostra che si sarebbe dovuta inaugurare nell’ottobre del 2024.
Naturalmente, dato che già da qualche mese era stata divulgata la notizia che saremmo stati io e Simongini i curatori della mostra, Gigliotti chiese a entrambi di rilasciare un’intervista, ma nessuno di noi in quel momento lo poteva fare, per il veto posto dal ministro Sangiuliano a dare anticipazioni sulla mostra. Prima di dichiarare qualcosa alla stampa, si doveva infatti attendere il suo nulla osta, come se si trattasse di un segreto di Stato. Di fatto, l’autorizzazione a rilasciare interviste non giunse mai perché, come noto, ai primi di settembre del 2024, Sangiuliano, travolto dallo scandalo Boccia, diede le dimissioni.
Così chi scrive non ebbe alcuna opportunità di dare qualche anticipazione sulla mostra. Mi sarebbe piaciuto, ad esempio, raccontare come Simongini e io l’avevamo ideata, il tipo di taglio e quali novità ci sarebbero state. Alla fine le mie prime dichiarazioni alla stampa sono arrivate solo dopo la mia estromissione dalla mostra. Estromissione che, ad oggi, non ha ancora una spiegazione oltre a non avere un responsabile (se non per astratto il Ministero della Cultura) e stessa cosa dicasi anche per gli altri quattro storici dell’arte (Carpi, Duranti, Baffoni e Scudiero) che hanno subìto il mio stesso trattamento: erano stati invitati dal direttore generale dei musei del MiC, Massimo Osanna (lo stesso che ha inviato le lettere di prestito in tutto il mondo dove figurava il mio nome come curatore della mostra accanto a quello di Simongini) a prendere parte al comitato scientifico e poi, dopo un anno di lavoro, non sono stati contrattualizzati perché il comitato scientifico non era mai stato formalizzato.
Se non fosse stato per il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, che ha risposto all’interrogazione parlamentare sulla mostra il 5 novembre scorso, confermando la mia presenza come curatore, qualcuno avrebbe potuto asserire che la mia curatela della mostra me l’ero sognata. Solo qualche settimana prima dell’interrogazione parlamentare, la direttrice della Gnamc Renata Cristina Mazzantini aveva affermato all’Ansa di non sapere addirittura nulla di me. Eppure la sua segretaria di direzione mi aveva invitato insieme agli altri componenti del comitato scientifico a una riunione tenutasi alla Galleria nazionale il 13 marzo 2024 dove era presente anche lei. Ero anche in copia con lei in alcune mail che riguardavano la scultura di Boccioni «Forme uniche della continuità nello spazio» custodita al Museo Mac di San Paolo del Brasile, per la quale mi ero attivato al fine di averla in prestito e, infine, le avevo regalato, in quella famosa riunione di marzo, il mio libro Boccioni. Opere inedite (Maretti Editore, 2022).
Possibile che si fosse totalmente dimenticata di me dopo che, tra l’altro, alla presenza di una mia classe di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Frosinone, in visita alla Gnamc, mi venne incontro per salutarmi, chiedendomi se fossi solo o se ci fosse con me anche Simongini? Evidentemente qualche problema di amnesia ci deve pur essere, perché nemmeno un mese fa, dopo che scoprii, grazie a una «soffiata», il motivo della mancanza in mostra dell’«Antigrazioso» (l’unico gesso rimasto in Italia di Boccioni, e da 80 anni custodito alla Gnamc), la direttrice Mazzantini disse che l’opera si trovava dai restauratori del museo per alcuni problemi conservativi. La verità, poi ammessa a denti stretti da Simongini, era che la scultura era caduta durante le movimentazioni dell’allestimento.
Nonostante «la Repubblica», sulle cui pagine è apparso lo scoop che denunciava il fatto, abbia richiesto il «condition report», non solo questo non è stato messo a disposizione, ma ad oggi non è dato sapere dove esattamente sia avvenuto il danno e la gravità dello stresso. Faccio presente che stiamo parlando di una scultura appartenente allo Stato. Ma i silenzi riguardano anche l’altra scultura di Boccioni, prestata da Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, rimasta in mostra una quindicina di giorni e poi ritirata dal prestatore dopo che la didascalia imposta dal Ministero della Cultura, dal curatore e dalla direttrice, la definiva come una «riproduzione». Nonostante un lunghissimo carteggio tra il curatore Simongini e Bilotti, non si capiscono ancor oggi le motivazioni per le quali la stessa identica scultura prima venga definita come originale e inserita ad esempio in una mostra curata proprio da Simongini appena un anno e mezzo fa («Ipotesi metaverso», Palazzo Cipolla a Roma), e poi venga invece identificata come una copia.
Nessuno ha voluto dare una spiegazione: né Simongini, né Osanna, né tantomeno Mazzantini. Solo un silenzio assordante come quello provocato dal tonfo dell’«Antigrazioso». Insomma ciò che inquieta non poco in questa mostra sono proprio i reiterati silenzi, le continue amnesie e le tante contraddizioni. Un atteggiamento che sa molto di menefreghismo. Del tipo «che parlino pure, noi tireremo diritto per la nostra strada in barba a tutto e a tutti».