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Uno dei banner pubblicitari in cui compaiono oggetti delle collezioni di antichità del Met illustrati come esempi di commerci illegali e fonte di guadagno per gruppi terroristici

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Uno dei banner pubblicitari in cui compaiono oggetti delle collezioni di antichità del Met illustrati come esempi di commerci illegali e fonte di guadagno per gruppi terroristici

UNESCO | La campagna che fa infuriare il Met

In alcuni banner oggetti delle sue collezioni sono presentati come esempi di mercato illegale

Nancy Kenney

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L’ultima campagna pubblicitaria dell’Unesco «Real Price of Art» (Il vero prezzo dell’arte»), legata al 50mo anniversario della Convenzione contro il traffico illecito di beni culturali, ha sollevato non poche polemiche, in particolare da parte del Metropolitan Museum di New York. In diversi banner pubblicitari, realizzati con l’agenzia Dbb Paris, compaiono oggetti delle collezioni di antichità del Met illustrati come esempi di commerci illegali e fonte di guadagno per gruppi terroristici. Le relative schede sul sito web del museo testimoniano però l’origine dei beni, in nessun modo riconducibili a operazioni illecite e, in alcuni casi, entrati in possesso del museo ben prima del 1970.

Tra i manufatti «incriminati», una testa di Buddha (V-VI secolo), indicata come frutto di saccheggi avvenuti in Afghanistan, nel 2001, ma in realtà acquisita dal Met nel 1930; un monumento funerario (primi secoli d.C.) proveniente dal sito di Palmira, che sarebbe stato rubato dall’Isis, mentre si trova a New York dal 1901; e ancora una maschera della Costa d’Avorio, oltre a opere d’arte trafugate e mai ritrovate.

Da qui le proteste ufficiali, che hanno portato alla sostituzione degli oggetti e a chiarimenti da parte dell’Unesco, sul proprio sito, anche nei confronti del Cinoa, la federazione internazionale delle associazioni di antiquari e mercanti d’arte, per il quale si screditano l’operato e la reputazione di coloro che commerciano in antichità (il Cinoa, insieme ad altre associazioni del settore, è inoltre impegnato in una disputa con l’Unesco sul valore che l’ente attribuisce al mercato illecito: circa 10 miliardi di dollari, una cifra ritenuta priva di basi scientifiche e ampiamente sovrastimata).

«Il nostro intento era quello di sensibilizzare il pubblico, mostrando manufatti di grande valore ritratti in contesti domestici di prestigio, e informare che può esserci un lato oscuro dietro l’origine di molti oggetti. Non volevamo certo mettere in dubbio la provenienza delle specifiche opere del Met», ha detto Matthieu Gueval, portavoce dell’Unesco.

A metà novembre l’ente ha organizzato una conferenza online sul tema della protezione del patrimonio culturale per celebrare i 50 anni della Convenzione (a cui Paesi come la Germania, il Belgio o la Svizzera, ritenuti tra i maggiori hub internazionali per il commercio illecito di reperti, hanno aderito solo negli anni Duemila).

UNESCO
La crisi del 75mo anno
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Lo spartiacque è il 1970
La campagna che fa infuriare il Met
Il traffico illecito non vale 10 miliardi di dollari
Segnali di speranza
 

Uno dei banner pubblicitari in cui compaiono oggetti delle collezioni di antichità del Met illustrati come esempi di commerci illegali e fonte di guadagno per gruppi terroristici

Nancy Kenney, 22 dicembre 2020 | © Riproduzione riservata

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