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Da sinistra e in senso orario: Francesco Bandarin, Lynn Meskell, Jean-Louis Luxen, Jad Tabet e George Abungu

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Da sinistra e in senso orario: Francesco Bandarin, Lynn Meskell, Jean-Louis Luxen, Jad Tabet e George Abungu

UNESCO | Un comitato ribelle per monitorarlo

26 autorevoli professionisti del settore del patrimonio hanno varato Our World Heritage

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Anna Somers Cocks

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Il programma Unesco dei siti Patrimonio dell’umanità non funziona più. Ha fallito e ha fallito nel modo in cui falliscono tutti i progetti ricchi di grandi ideali quando smarriscono il loro carisma fondante e soccombono alle tentazioni del mondo.

L’Unesco era il prodotto dell’ottimismo del dopoguerra, del desiderio di educare e ricostruire il mondo secondo un modello migliore. All’inizio era addirittura guidato da intellettuali e da artisti. Poi la sua burocrazia è cresciuta oltremisura, corruzione e nepotismo si sono insinuati e diffusi, e negli anni ’80, mentre si cercava di «ripulirlo», i delegati del Comitato del Patrimonio mondiale hanno cessato di essere figure di intellettuali e sono stati sostituiti da diplomatici inviati degli Stati membri.

Ciò ha deviato l’Unesco, come le Nazioni Unite, su una strada scivolosa, diventando palcoscenico di politiche nazionaliste, scambio di favori politici tra i Paesi e luogo di occultamento di verità imbarazzanti. E adesso vige un altro tipo di corruzione, quella istituzionale. L’attuale omissione di una condanna per il genocidio culturale perpetrato contro gli Uiguri, con la distruzione della loro antica città di Kashgar e delle sue moschee, è certamente dovuta all’influenza dei cospicui finanziamenti da parte del Governo cinese.

Il caso di Venezia è un ulteriore scandalo. Dal 2014 la città è stata sul punto di diventare «patrimonio a rischio», ma lo ha ripetutamente evitato per la sottomissione dei funzionari Unesco alle pressioni del Governo italiano, anch’esso generoso contribuente dell’organizzazione. Ora, finalmente, alcune persone si stanno ribellando. In novembre, Francesco Bandarin, ex direttore del Centro per il Patrimonio mondiale dell’Unesco, e altri 25 professionisti del settore del patrimonio hanno varato una nuova organizzazione, Our World Heritage, che mira, come diciamo noi inglesi, a «mettere i piedi dell’Unesco sul fuoco».

Ne fanno parte personaggi notevoli, molti dei quali con un background nell’Unesco stessa o nell’Icomos (il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti, consulente dell’Unesco). Alcuni nomi: Jean-Louis Luxen, ex segretario generale di Icomos e amministratore generale del Dipartimento degli Affari culturali del Belgio; l’archeologo George Abungu, ex direttore generale dei Musei nazionali del Kenya; Jad Tabet, che aveva insistito, contro una forte opposizione, che il «caso Venezia» venisse almeno discusso nella riunione del Comitato per il Patrimonio mondiale del 2016, ed è presidente dell’Ordine libanese degli ingegneri e degli architetti e dell’Unione araba degli architetti; Christina Cameron, due volte presidente del Comitato per il Patrimonio mondiale, e l’archeologa Lynn Meskell dell’Università della Pennsylvania e della Cornell University, esperta in politiche di governo del patrimonio.

Il loro piano è quello di sfruttare il potere delle «informazioni affidabili», attirando rapidamente l’attenzione sulle situazioni in cui il patrimonio è a rischio attraverso un centro di crisi online, dove il pubblico, i professionisti, le ong, gli accademici e i mezzi di informazione potranno segnalare e monitorare i siti in condizione critica. Terranno sotto osservazione i 1.121 siti dichiarati dall’Unesco Patrimonio mondiale, coinvolgendo anche la società civile, per garantire che siano adeguatamente tutelati.

Per esempio, se fosse già esistita Our World Heritage, l’Unesco non avrebbe potuto ignorare le raccomandazioni del «Report Icomos 2015», assai critico sullo stato di salute di Venezia, commissionato dall’Unesco stessa ma poi semisepolto. In breve, Our World Heritage vuole instaurare una partnership globale per lo scambio libero e tempestivo di notizie e per esercitare un’attività costante di pressione. Nel 2021 inizierà con una serie di seminari su come procedere nel modo più efficace e cercherà la partnership con altre ong nel campo del patrimonio, fino a culminare nel 2022 in una grande conferenza in occasione del 50mo anniversario della Convenzione del Patrimonio mondiale.

Come reagirà la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay? Se ha un buon istinto politico la accoglierà positivamente, perché un simile organismo di monitoraggio indipendente potrebbe essere la salvezza dell’Unesco, grazie al quale l’organizzazione (tanto necessaria, malgrado tutto) potrà riscattarsi dal debito politico che oggi schiaccia i suoi alti ideali a scapito del nostro fragilissimo mondo.

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Anna Somers Cocks, 18 dicembre 2020 | © Riproduzione riservata

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