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Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliNella mattinata di giovedì 4 febbraio 1999, in una giornata di sole, come è segnalato nel diario di scavo, gli archeologi che a Roma stavano lavorando su un tratto della Via Appia ai piedi del sepolcro definito Dorico, all’altezza del V miglio, rinvennero due tubuli in piombo simili alle antiche fistule per l’acqua. Ci si rese conto presto che si trattava di altro, dato che sui tubuli era incisa in caratteri romani la data 30 settembre 1929 e, inoltre, su uno erano presenti le iniziali UH e, sull’altro, LL. Con ogni probabilità erano stati sepolti in quella data, o in un giorno immediatamente successivo, da UH con la segreta speranza che sarebbero stati ritrovati in futuro.
La direzione degli interventi, al tempo, era dell’archeologa Rita Paris, a cui le ricerche, la tutela e la valorizzazione dell’Appia Antica devono molto. Fu subito attratta dallo «strano» rinvenimento, che ebbe risonanza nella stampa dell’epoca, e ora, nel libro Lettere d’amore dalla Via Appia (a cura di Rita Paris, 143 pp., 36 ill., Gangemi Editore, Roma 2024, euro 14), ha presentato in maniera esaustiva. Sveliamo subito che i due tubuli contenevano le lettere d’amore scambiate tra un uomo UH e una donna LL dal 25 marzo 1926 al 20 luglio 1928.
Il tubulo con le iniziali UH conteneva lettere arrotolate con cura, rivestite da un foglio di carta velina e legate con un cordoncino; un ritratto a carboncino con un volto maschile verosimilmente dello stesso UH, non firmato, ma datato settembre 1916; quattro foto dell’uomo in fasi diverse della sua vita e il ritaglio di un foglio a righe con le iniziali LL tracciate da una mano femminile. Le lettere sono quelle scritte dall’uomo che Rita Paris è riuscita a individuare, ma che ha scelto di indicare solo con il suo nome: Ugo. L’altro tubulo era stato interessato da infiltrazioni d’acqua e il contenuto è risultato purtroppo rovinato in maniera definitiva, nonostante l’intervento di specialisti della carta. Doveva contenere le lettere della donna L(etizia) L, la cui voce possiamo conoscere solo da qualche stralcio delle sue missive riportate in quelle dell’uomo.
Di lui, grazie alla curatrice, sappiamo che era nato a Roma nel gennaio del 1893, aveva combattuto nella prima guerra mondiale, era stato ferito in combattimento, aveva raggiunto il grado di capitano e aveva ottenuto una medaglia d’argento al valor militare. Apprendiamo che si era sposato nel dicembre del 1918, all’età di 25 anni, e che dal matrimonio erano nati due figli. Conosciamo, inoltre, che la sua carriera si era svolta all’interno delle Ferrovie dello Stato, dove aveva iniziato come avventizio nel 1912 per concluderla come Segretario Capo presso la Direzione Generale. La sua morte prematura avvenne nel febbraio del 1938.
Su L(etizia) L sappiamo soltanto quel poco che si può dedurre dalle lettere di Ugo: era probabilmente più giovane, lavorava sempre presso le Ferrovie dello Stato, doveva essere una segretaria o un’assistente, ma presto scelse di sostenere un concorso per maestra, che vinse. S’intuisce che la scelta era nata da un interesse personale, ma anche dalla volontà di lasciare l’ufficio, Roma e allontanarsi da un amore con un uomo sposato difficile da sostenere soprattutto per lei.
Le lettere consentono di ricostruire l’incontro tra Ugo e Letizia dai primi momenti sino alla conclusione: l’intesa, la felicità, l’attrazione che entrambi cercavano di reprimere, la consapevolezza delle difficoltà insormontabili da affrontare nello sviluppo del loro amore.
C’è poi nelle lettere una notevole qualità letteraria che riesce, ad esempio, a restituire la Roma degli anni ’20 del Novecento: le strade, i ponti, le piazze, i lungotevere assolati, i tram presi al volo, le finestre illuminate osservate nelle sere al ritorno dal lavoro. Ecco un brano dalla lettera del 20 gennaio 1927: «Ho temuto prima di non raggiungerla: poi, strada facendo, l’ho scorta... Ho atteso lungamente a pochi passi da lei, senza avere il coraggio di avvicinarmi, sotto la pioggia dirotta e mi sembrava refrigerio farmi sferzare da essa». Esiste anche un’archeologia dei sentimenti.
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Le 49 lettere trovate all’interno di due tubuli in piombo in corrispondenza del V miglio della Via Appia
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