Stefano Causa
Leggi i suoi articoliInvidia, peccato capitale. Pure non capita spesso di chiudere un libro e confessare: avessi oggi le spalle per scrivere una monografia su Roberto Longhi, dopo che un quarto di secolo fa provai a spargere sale nella ferita degli studi longhiani, la scriverei così. Vergate a muscoli tesi e a viso scoperto da un urbinate, classe 1989, ecco 600 pagine straripanti su una figura topica della modernità.
Si rincorrono come nella passerella di «8 e mezzo»: Longhi, scomparso nel ’70; la moglie, Anna Banti, storica d’arte sommersa sopravvissutagli di 15 anni, i satelliti e gli interlocutori, gli allievi per contagio e i fiduciari, i collezionisti e gli antiquari, gli editori, i docenti ordinari e straordinari, le domestiche e i segretari, Caravaggio e Lucio Battisti, Mina, i Beatles e Mick Jagger, Donatello e Don Lurio, David Bowie e Cassavetes, Testori, Bassani, il Gruppo 63 e Arbasino, Soldati, la Pop art, Guttuso e Morandi, i fascisti e gli ex fascisti affrettatisi a farsi comunisti, Bianchi Bandinelli, Carla Lonzi, Alessandro Conti, Zeri, i musei e le mostre, Berenson, Briganti, la Gregori e Previtali, la Barocchi, i (pochi) concorsi vinti e gli odi, omerici, covati intorno alla Fondazione dopo la morte di Longhi. Quei rancori che si marmorizzano da una generazione all’altra e rimangono l’eredità più duratura dell’officina longhiana. Quanto alla copertina è riservata a un ritratto di Longhi di Pericoli ed è la prima lettura critica del volume.
Non è per uomini d’acqua dolce lo stagno degli storici d’arte e dal resoconto di Tommaso Tovaglieri trapelano miasmi e malumori, ammirazione e riserbo, amarezze e sgambetti, coronati da attribuzioni che ridisegnano nuove mappe della geografia dell’arte. Aprire questo romanzo, che si legge come un saggio, e che parte dal cadavere di Longhi per risalire alla sua giovinezza, è come sfogliare l’album di famiglia. Il Novecento visto dallo spettro della genialità profusa e tutto sommato indifesa di un albese. Un esercizio fluviale su Longhi scritto sovrapponendosi ai temi con sana autoconvinzione.
Meticolosa e centrifuga la versione di Tovaglieri è un viaggio sugli splendori e le miserie della critica d’arte italiana. Il libro è ricco di controluce folgoranti: il teatrino di Vitale Bloch intorno alla salma del maestro e una pagina su chi, come Raffaello Causa, «un metro e ottanta per 130 chili d’uomo, amante del cinema, della musica e delle donne», rimane, dei longhiani, il portatore della scrittura meno scimmiottante il maestro. Reinventato da chi a stento ne avrà sentito parlare (se si danno una destra e una sinistra di Longhi, esistono tuttora un Nord e un Sud longhiani), Causa resuscita come un misto di Falstaff e Aretino di Tiziano.
C’è molto di un ingegno pazzo di teatro e cinema come Giovanni Agosti in pagine in cui si ritroverà chi sia sopravvissuto senza accademismi in ambito accademico. Il più bel libro recente su Longhi? Forse. Lui per primo non ne sarebbe scontento.
Roberto Longhi. Il mito del più grande storico dell’arte del Novecento
di Tommaso Tovaglieri, 604 pp., 85 ill., Il Saggiatore, Milano 2025, € 38

La copertina del volume
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