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Al PirelliHangar Bicocca sarà allestita la prima retrospettiva dedicata alla fotografa statunitense in veste di filmmaker, riunendo il più grande corpus di slideshow mai presentato
- Alessia De Michelis
- 31 luglio 2025
- 00’minuti di lettura


Nan Goldin, «Veiled Woman», 2010 (particolare)
© Nan Goldin. Courtesy Gagosian
Un villaggio di immagini firmato Nan Goldin
Al PirelliHangar Bicocca sarà allestita la prima retrospettiva dedicata alla fotografa statunitense in veste di filmmaker, riunendo il più grande corpus di slideshow mai presentato
- Alessia De Michelis
- 31 luglio 2025
- 00’minuti di lettura
Alessia De Michelis
Leggi i suoi articoliUn insieme di strutture simili a padiglioni, progettato dall’architetta Hala Wardé, fa da cornice alla mostra «This Will Not End Well», allestita grazie a Roberta Tenconi e Lucia Aspesi al Pirelli HangarBicocca di Milano dall’11 ottobre al 15 febbraio 2026, in cui Nan Goldin presenta la propria produzione filmica attraverso il formato dello slideshow, che nel tempo è diventato il principale metodo del suo linguaggio visivo.
Goldin (Washington, 1953) inizia a usare questa tecnica, all’inizio degli anni Ottanta, per proiettare i primi scatti nei club e nei cinema underground di New York, accompagnati da colonne sonore da lei stessa selezionate. Una pratica che negli anni si evolve, includendo voce, video e materiali d’archivio. In questo modo documenta ambienti spesso marginali, comunità queer e momenti di vita condivisa, con uno sguardo diretto e mai distaccato.
In apertura dell’esposizione milanese, una composizione sonora del collettivo Soundwalk Collective accoglie i visitatori. Il progetto espositivo, frutto di una collaborazione internazionale (organizzato, a cura di Fredrik Liew, dal Moderna Museet di Stoccolma con il Pirelli HangarBicocca, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, la Neue Nationalgalerie di Berlino e il Grand Palais di Parigi), offre una lettura estesa e stratificata del lavoro di un’artista che ha saputo ridefinire il confine tra biografia e rappresentazione.
Ogni lavoro occupa una struttura distinta all’interno del «villaggio» di Wardé, come se fosse un episodio a sé, e il risultato è un percorso che evita la linearità per proporre un’esperienza frammentata, in cui opere già note (come «The Ballad of Sexual Dependency», 1981-2022, «The Other Side», 1992-2021, «Memory Lost», 2019-21) dialogano con due lavori recenti, «You Never Did Anything Wrong» e «Stendhal Syndrome», entrambi del 2024, qui presentati per la prima volta in un ambito museale europeo. Il primo, una meditazione astratta sulla ciclicità della vita; il secondo, un intreccio tra mito, ritratto e storia dell’arte.
Nel Cubo, lo spazio monumentale dell’Hangar, trova posto «Sisters, Saints and Sibyls» (2004-22), che affronta il tema del trauma familiare e del suicidio, già esposto nella Chapelle de la Salpêtrière a Parigi. L’installazione viene qui riproposta in una forma fedele all’originale, compresi gli elementi scultorei, visibili da una passerella rialzata.