Giovanni Curatola
Leggi i suoi articoliIl poderoso volume dovuto alla penna di Oliver Watson è il catalogo completo delle ceramiche della collezione Sarikhani (Londra), dedicata all’arte iraniana e formatasi abbastanza recentemente.
La consistenza delle opere (240 ca) è importante ma certo non massiccia; una novantina di pezzi sono parte della collezione del magnate americano dei media di origine tedesca John Werner Kluge (opere già raccolte in Iran negli anni Settanta del Novecento, poi passate di proprietà dopo la Rivoluzione islamica), e quindi acquisite dai coniugi Ali e Sabine Sarikhani, meritoriamente impegnati nella celebrazione dell’arte persiana.
È questa dell’acquisizione in blocco di una collezione, circostanza non rara e comunque importante, motivo talora non di forza ma di debolezza, perché la fusione fra un nucleo ben definito (che rispecchia un gusto personale e non sempre antologico) e quanto si reperisce sul mercato antiquario (soprattutto nelle grandi aste) crea inevitabilmente problemi di equilibrio.
Ci sono, comunque, tutte le classi fittili persiane, che sono davvero molte e spesso di assoluta originalità, dalle più antiche a quelle attribuite alla regione orientale del Khorasan. Questa regione, a cavallo fra gli odierni Iran, Afghanistan e Turkmenistan, nel Medioevo è stato probabilmente il luogo di maggiore raffinatezza e qualità nell’elaborazione artistica: non solo ceramiche, ma metalli, tessuti, tappeti, vetri, manoscritti di livello a mio avviso ineguagliato nell’Islam.
Una discreta collezione quella qui proposta, ma non eccezionale; non all’altezza delle grandi raccolte museali occidentali (Londra, Parigi, Berlino, San Pietroburgo, Washington, New York) e nemmeno vicino-orientali, fra le quali spicca, ovviamente, quella del Museo Nazionale Islamico di Teheran.
Opere di media qualità, davvero, ma pochi (invero: nessun) capolavoro, nonostante il termine ritorni assai generosamente più volte nelle considerazioni di Watson che ha una carriera accademica e scientifica degna del massimo rispetto anche se non paragonabile a quella del padre William, indimenticabile professore di Arte cinese a Londra.
Curatore del V&A di Londra proprio delle ceramiche orientali e poi a Doha come curatore di quel Museo e professore a Oxford, ora emerito. Rispetto al suo catalogo della collezione Al-Sabah del Kuwait (Ceramics from Islamic Lands, 2004), che era ricco di opere strepitose e altri libri e puntuali articoli, qui si avverte una certa stanchezza e pigrizia, quasi come se l’opera fosse stata scritta controvoglia. Peccato.
Può darsi che i committenti abbiano preferito il nome senza dubbio fra i più autorevoli in circolazione, alla più fresca e originale versione di un/una giovane studioso/a. È successo anche a me. Dire di no è difficilissimo.
Va detto che utilissima è l’appendice tecnica (con ritraduzione e rilettura critica di due manoscritti medievali persiani) a cura della sua allieva Moujan Matin, la parte più brillante dell’intera opera. La bibliografia è buona, ma tutt’altro che esaustiva. Due parole sull’edizione italiana di Einaudi.
Finalmente si traducono anche da noi testi importanti dedicati ai manufatti artistici islamici. Però, facciamolo bene e non con strafalcioni (uno solo a p. 135: «La ceramica a camoscio figurato, Nishapur, Iraq, X secolo»), non solo di traduzione, ma anche terminologici e tecnici di tutti i tipi. L’elenco sarebbe lunghissimo e impietoso. Bastava far leggere la traduzione a uno storico/a dell’arte islamica: ce ne sono anche da noi, giovani e vecchi, i primi migliori dei secondi. Ma bisogna fidarsi.
Ceramiche dell’Iran. Il vasellame islamico della Collezione Sarikhani
Di Oliver Watson, traduzione di Michela Volante, 590 pp., 500 ill., Einaudi, Torino 2022, € 95
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