Agnès Varda nel suo studio fotografico in Rue Daguerre, 1955

© Estate Agnès Varda. Cortesia dell’Estate Agnès Varda

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Agnès Varda nel suo studio fotografico in Rue Daguerre, 1955

© Estate Agnès Varda. Cortesia dell’Estate Agnès Varda

Varda: «Non scelgo mai un’unica versione delle cose»

Al Centre de Cultura Contemporània de Barcelona una retrospettiva ci porta nel vivo della ricerca artistica della regista, sceneggiatrice e fotografa belga a cavallo tra il XX e il XXI secolo

C’è una fotografia in «Agnès Varda: Photographing, Filming, Recycling», retrospettiva aperta dal 18 luglio all’8 dicembre nel Centre de Cultura Contemporània de Barcelona (Cccb), in cui la fotografa, regista e artista rompe la quarta parete. Scattata nel 1955 in un bianco e nero pastoso, l’immagine la ritrae nell’espressione vispa e sagace di chi sa di avere un futuro brillante davanti a sé. Qui, Varda (Ixelles, 1928-Parigi, 2019) impugna la sua grande formato guardandosi alle spalle con fare curioso. Indossa un tailleur a due pezzi dai toni scuri e un paio di décolleté lucide, mentre si appresta a immortalare un gatto seduto su uno sgabello al centro di due ali d’angelo. È una scena tanto bizzarra quanto emblematica della visione stravagante che ha contraddistinto la carriera pluridecennale di Agnès Varda, aprifila del cinema al femminile, talento poliedrico e osservatrice critica della realtà sociopolitica del suo tempo. 

La mostra a lei dedicata dal Cccb, a cura di Florence Tissot in collaborazione con Rosalie Varda, primogenita dell’artista, ci porta nel vivo della sua ricerca artistica a cavallo tra il XX e il XXI secolo. «Non scelgo mai un’unica versione delle cose», spiegò in un’intervista nel 2007. «Photographing, Filming, Recycling» ne è la prova: dalla fotografia all’installazione, passando per l’immagine in movimento, la compagna di vita che l’ha vista realizzare ben 46 film tra lungometraggi e cortometraggi, misurandosi con generi disparati quali fiction, documentario, commedia e cinema sperimentale, «Varda fu una figura completamente devota al rinnovamento della percezione visiva», spiegano gli organizzatori della mostra. 

Tra i maggiori esponenti della Nouvelle Vague, corrente cinematografica emersa in Francia negli anni Cinquanta sulla scia del Neorealismo italiano, che scardinò le convenzioni narrative e stilistiche del medium a favore di un approccio più personale e innovativo, nei suoi sessant’anni di attività, la cineasta belga si è reinventata di pari passo all’evoluzione della tecnologia. La sua malleabilità creativa è evidente in questa retrospettiva, che giustappone cinque delle installazioni da lei realizzate negli anni Duemila ad alcuni dei suoi short film più iconici. Dalla condizione esistenziale della donna, tema affrontato da Varda in capolavori come «Cleo dalle 5 alle 7» (1962) e «Una canta, l’altra no» (1977), al tumulto sociale che ha riscritto le sorti del mondo negli anni Sessanta, focus principale dei suoi film «Black Panther» (1968) e «Lions Love» (1969), l’artista ha raccontato le sfide della sua epoca con un’ironia e una sapienza pungenti e rivelatorie. A cinque anni dalla sua scomparsa, Varda rivive nelle citazioni, opere d’arte, cimeli, documenti e nei «dietro le quinte» artistici che hanno scandito il suo processo estetico rivoluzionario, per «risvegliare nella gente il desiderio di vedere». 

Gilda Bruno, 16 luglio 2024 | © Riproduzione riservata

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