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Vero oppure Finson?

Luana De Micco

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La storia è cominciata ad aprile 2014 con un’infiltrazione d’acqua nella soffitta di una casa vicino a Tolosa. Durante i lavori, i proprietari trovano un quadro polveroso dietro un solaio, bagnato sul lato destro, ma tutto sommato in buone condizioni. Rappresenta una scena di grande violenza: l’eroina biblica Giuditta sgozza Oloferne, il sangue schizza, la vecchia serva Abra dal gozzo prominente tiene in mano il sacco che accoglierà la testa del condottiero assiro

Forse ha portato il dipinto in Francia un antenato della famiglia, un ufficiale dell’esercito napoleonico di ritorno dalla campagna di Spagna. Ma la scena, troppo violenta, costringe a relegare il dipinto in soffitta, facendolo dimenticare per più di un secolo. Marito e moglie decidono di fare vedere la tela al direttore di una casa d’aste di Tolosa, Marc Labarbe. Quest’ultimo crede di riconoscere la mano di un caravaggista e consiglia di trasferire il quadro a Parigi per un’expertise di Eric Turquin, ex di Sotheby’s Londra, nonché mercante d’arte, che dal 1987 ha un cabinet di attribuzioni in rue Saint-Anne.

In due anni il quadro viene pulito, radiografato e analizzato. Soltanto il 12 aprile scorso Turquin presenta il «Giuditta e Oloferne» alla stampa internazionale. Secondo lui non ci sono dubbi: si tratta di un’opera di Caravaggio dipinta probabilmente a Roma tra il 1604 e il 1605. Un «Giuditta e Oloferne» del Merisi, del 1599, è esposto alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma, ma è molto diverso. Il dipinto di Tolosa è prossimo a una copia di Louis Finson, pittore fiammingo che fu molto vicino a Caravaggio, conservata nelle Gallerie d’Italia di Palazzo Zevallos Stigliano, a Napoli. Dal testamento di Finson si sa che il pittore alla sua morte, nel 1617 ad Amsterdam, possedeva due quadri del maestro, tra cui anche una «Giuditta che decapita Oloferne», che aveva ispirato la sua tela. Secondo Turquin il quadro di Tolosa non è altro che l’originale andato perduto e avanza una stima: 120 milioni di euro. Per alcuni giorni i media francesi (e poi del mondo) non parlano d’altro. La Francia spera di aver trovato la perla rara.

Ma se Turquin è così sicuro, non tutti gli esperti sono della stessa opinione. «Caravaggio è un artista difficile da leggere, che si presta a controversie. Non c’è consenso intorno al quadro e non mi aspetto che ce ne sia», deve ammettere lo stesso esperto durante la conferenza stampa. La bagarre per l’attribuzione del quadro in realtà è solo iniziata. Che si tratti di un’opera di qualità se ne è accorto anche il Louvre. A giugno scorso le voci della scoperta arrivarono fino al Ministero della Cultura. Per tre settimane il quadro venne trasferito e analizzato nei laboratori del Louvre. Dopodiché il 31 marzo è stato pubblicato un decreto ministeriale in cui si vieta ogni trasferimento all’estero del quadro. La Giuditta viene registrata come «tesoro nazionale» e lo Stato ha 30 mesi di tempo per effettuare ulteriori perizie e permetterne eventualmente l’acquisizione da parte di un museo nazionale. Il Louvre, secondo indiscrezioni, starebbe raccogliendo il budget necessario.

Allora: opera di Caravaggio, di un caravaggista o di un abile copista? La domanda è obbligatoria dal momento che alcuni dei più grandi esperti di Caravaggio non condividono la posizione di Turquin. Gianni Papi, che ha visto il quadro più volte nel corso del 2015, non riconosce la mano dell’artista: «Il quadro è bellissimo. Quando l’ho visto la prima volta era molto sporco e la mia posizione era più possibilista. Ma una volta che è stato pulito tutto mi è sembrato più chiaro. Secondo me ci sono una serie dielementi dissonanti», ci dice al telefono. Eccoli: il volto di Oloferne, con i denti troppo separati; il gesto di Giuditta, che «non ha la forza di Caravaggio»; la mano sospesa del condottiero e quella, nell’ombra, di lei, che «Caravaggio non avrebbe dipinto così»; il volto della serva, troppo rugoso e diverso da quello dell’anziana che compare nella composizione della «Crocifissione di Sant’Andrea» di Cleveland, servito probabilmente da modello. Mina Gregori, che nel 2014 aveva attribuito la «Maddalena in estasi», esprime lo stesso scetticismo.

Alla stampa, Turquin e gli altri esperti del cabinet parigino hanno spiegato perché secondo loro invece il quadro è di Caravaggio. La composizione è identica alla copia napoletana di Finson «il cui gesto però, ha osservato Stéphane Pinta, è meno spontaneo, mentre qui le pennellate sono energiche, brutali, immediate, tipiche di Caravaggio». Dagli infrarossi è emerso che l’artista è intervenuto per correggere alcuni dettagli della mano sinistra di Oloferne, e questo «non può essere stato fatto da un copista». La composizione «efficace», gli effetti della luce, il drappo rosso annodato, la profondità degli sguardi, il volto coperto di rughe della serva: secondo Turquin sono «criteri pittorici inconfondibili di Caravaggio». Si vede poi che l’artista ha ingrandito il quadro aggiungendo una striscia di tela sul basso: lo «stesso segno», che corre orizzontalmente, si ritrova anche nel quadro di Napoli. Particolare che fa pensare che le due tele «siano state dipinte simultaneamente». Anche Nicola Spinosa, che ha visionato il quadro più volte, ha riconosciuto il tocco di Caravaggio. L’ipotesi di Papi invece è che si tratti di «una creazione originale» dello stesso Finson. Da qui derivano il «tocco più libero» e alcuni ripensamenti.

Luana De Micco, 11 maggio 2016 | © Riproduzione riservata

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