Giuseppe M. Della Fina
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Uno scavo restituisce oggetti, abitazioni, edifici sacri, vie, piazze, tombe, iscrizioni, resti botanici e faunistici, talvolta opere d’arte, ma, soprattutto, il presente di un passato più o meno lontano nel tempo: è il tocco magico dell’archeologia.
Il presente di una città etrusca che svolgeva un ruolo di collegamento, grazie alla sua posizione geografica, tra l’Etruria propria, compresa tradizionalmente tra i fiumi Tevere e Arno, e l’Etruria cosiddetta padana, è restituito bene dalle campagne di scavo promosse a Marzabotto dall’Università degli Studi di Bologna. Le indagini si sono mosse sulla scia di quelle portate avanti a partire dall’Ottocento e hanno avuto come responsabili Guido Achille Mansuelli, Giuseppe Sassatelli e, dal 2014, Elisabetta Govi, oggi titolare della cattedra di Etruscologia e Archeologia Italica presso l’Ateneo bolognese. Il suo rapporto con questo scavo è speciale: qui, infatti, è avvenuta la sua formazione sul campo. Ne abbiamo parlato a lungo, partendo dal ricordo della prima campagna di scavo, da studentessa, nel 1988.
Lo scavo di Marzabotto è unico, dato che ancora oggi è la città etrusca indagata in maniera più estensiva: ne conosciamo i quartieri, le strade, le abitazioni, le officine, le botteghe, i templi. Ne conosciamo, da qualche anno, anche il nome: «Kainua», nel quale si è riconosciuto un legame con il greco «kainon» (nuovo). Era inciso sul fondo di una coppa rinvenuta frammentaria ed era espresso al caso locativo: «Kainuathi», a Kainua. Proprio Govi, collegandola a un’altra iscrizione che aveva studiato in precedenza, ha intuito che quelle lettere potessero restituire il nome antico della città, che poi è ritornato in altre iscrizioni rinvenute.
Il poleonimo Kainua sembra trasmettere il concetto di «città nuova»: a Marzabotto, in effetti, alla fine del VI secolo a.C. si osserva quasi una rifondazione con la trasformazione dell’insediamento originario, più antico di alcuni decenni, in una città dai caratteri monumentali pur nella sostanziale continuità di destinazione degli spazi abitativi, artigianali e sacri. Si trattò di un fenomeno politico e sociale, oltre che di un salto di qualità in termini urbanistici e architettonici, mi fa notare la responsabile dello scavo.
Le ricerche negli ultimi anni hanno portato alla luce, accanto ai quartieri di abitazione, due nuovi templi. Si trovano a poca distanza l’uno dall’altro, nella città bassa: uno periptero dedicato a Tinia, vale a dire alla massima divinità del pantheon etrusco equivalente a Zeus, e uno, più antico di qualche decennio, di forma tuscanica nel quale era venerata Uni (Hera) e vi era accolto anche il culto della dea Vei, equiparabile alla greca Demetra e legata alla fertilità e alle nascite.
Gli scavi hanno consentito di ricostruire i riti di fondazione dei due templi e, in particolare, di quello dedicato a Uni, il più antico e costruito alla fine del VI secolo a.C. Un’iscrizione, rinvenuta tra i sassi delle fondazioni murarie, documenta un rito solenne, probabilmente una libagione, a cui prese parte l’intera comunità. Altrettanto solenne dovette essere il rito di fondazione del tempio più recente, anche in questo caso venne ricordato in un’iscrizione incisa su una lamina di bronzo destinata in origine a essere affissa per tramandare la memoria dell’evento. Le dimensioni dei due edifici erano ragguardevoli: quello di Uni aveva una superficie pari a 492 metri quadrati, l’altro raggiungeva i 780 metri quadrati. Si tratta di un grande investimento nella sfera del sacro con risvolti nell’architettura, nelle pratiche devozionali e nella scrittura che avvicina Marzabotto al circuito dei grandi santuari etruschi.
Ho chiesto a Elisabetta Govi, da ultimo, l’aspetto che l’avesse colpita di più nelle sue ricerche a Marzabotto: ho atteso il termine del nostro colloquio per porre la domanda, dato che mi sembrava troppo ingenua. Mi ha risposto, dopo averci pensato un poco: il disvelamento degli aspetti legati all’archeologia del sacro. Un modo privilegiato in effetti per confrontarsi con il presente di un passato lontano nel tempo.
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