Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Silvia Ciaccio, «Azzurri alchemici», 2023

Courtesy Longari Arte Milano

Image

Silvia Ciaccio, «Azzurri alchemici», 2023

Courtesy Longari Arte Milano

Visioni liminali tra Oriente e Occidente

L’artista Silvia Ciaccio esplora il confine tra sogno e veglia con opere meditate e spirituali, immerse nel blu e ispirate al pensiero filosofico e alla cultura giapponese

Lo spazio in cui vivono le opere di Silvia Ciaccio (Milano, 1985) è quello del sogno: lo spazio della notte, dunque, ma non solo quello, perché qui si parla di quello stato (che i francesi chiamano, felicemente, «rêverie») in cui, nel sonno o nella veglia, si permette alla nostra interiorità di emergere alla coscienza e di lasciare sullo sfondo le rigide intimazioni della razionalità. Momenti che rappresentano «una dimora dell’anima», spiega l’artista, che ha voluto intitolare «Il sogno in una stanza» la personale presentata dal 16 maggio al 19 giugno da Longari Arte Milano, negli spazi di Palazzo Cicogna, in corso Monforte 23. Silenziosi e meditativi, nutriti delle letture filosofiche cui Silvia Ciaccio si dedica sin dalla prima gioventù (è figlia d’arte e, per di più, di un artista colto, sensibile e raffinato quale era Roberto Ciaccio, che aveva fatto della sua casa e del suo studio un crocevia intellettuale e filosofico), letture sulle quali lei ha innestato la conoscenza approfondita della cultura e del pensiero giapponese, i lavori di Silvia Ciaccio sono opere liminali che si pongono sulla soglia tra realtà fisica e metafisica, tra terra e cosmo. 

Silvia Ciaccio, «Senza Titolo», 2021. Courtesy Longari Arte Milano

Da Longari Arte Milano sono esposti in una sorta di scrigno («la sala del sogno») dalle pareti blu: i blu e gli azzurri, con rari tocchi di rosa, sono del resto i colori dominanti dei suoi lavori, che in questa mostra entrano in risonanza con alcune preziose opere d’arte antica delle raccolte della storica galleria milanese, come la misteriosa testa di «Sibilla» marmorea del XV secolo e gli angeli lignei, uno senese, uno spagnolo e uno savoiardo, del XIV e XV secolo, che con le loro linee asciutte e la loro verticalità fanno eco alle «presenze angeliche» che abitano le opere di Silvia Ciaccio, tutte intrise, come spiega lei stessa, «del sentimento del blu». Innamorata della cultura giapponese, che ha conosciuto di prima mano nei suoi tanti soggiorni in quel paese, Silvia Ciaccio si serve di carta di riso, giapponese appunto, e di carta velina, che talora alterna, però, alla solidità massiccia dell’acciaio corten. Ma, più ancora, da quel mondo l’artista ha tratto la capacità di entrare in profonda consonanza con la natura e di percepire l’energia cosmica, da lei tradotta nei suoi lavori in una convivenza di pieni e di vuoti, e non a caso oggi sta lavorando a un nuovo progetto intorno a quella sorta di rito orientale che è il «bagno nella foresta» (in giapponese shinrin yoku), pratica che prevede un’immersione totale, fisica e sensoriale, nei boschi.

Ada Masoero, 12 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Visioni liminali tra Oriente e Occidente | Ada Masoero

Visioni liminali tra Oriente e Occidente | Ada Masoero