Image

La piazza reale di Patan (Lalitpur); Budhânilkantha, Vishnu, 641-642 d.C. Foto di Stella Rigo Righi, 2000

Image

La piazza reale di Patan (Lalitpur); Budhânilkantha, Vishnu, 641-642 d.C. Foto di Stella Rigo Righi, 2000

Vive di turismo, va ricostruito

Emily Sharpe

Leggi i suoi articoli

Kathmandu. Sushil Koirala, primo ministro del Nepal, si è rivolto alle organizzazioni umanitarie internazionali per trovare 2 miliardi di dollari per la ricostruzione dopo le forti scosse di terremoto che hanno colpito il Paese himalayano dallo scorso 25 aprile. Mentre andiamo in stampa il numero delle vittime ha raggiunto quota 8.583. Oltre alla perdita catastrofica di vite umane, sono stati danneggiati almeno 68 siti culturali, numero destinato a salire. Christian Manhart, direttore dell’ufficio Unesco di Kathmandu, ha dichiarato all’emittente tedesca «Deutsche Welle» che nella sola Valle di Kathmandu ci sono sette siti Patrimonio dell’Unesco, tutti gravemente colpiti dal sisma.
Un’indagine preliminare dell’Unesco, diffusa il 27 aprile (due giorni dopo il sisma di magnitudo 7.8), ha rivelato che tre siti Patrimonio dell’umanità, le piazze Durbar di Kathmandu, Patan e Bhaktapur, sono andati «quasi completamente distrutti». Queste piazze reali, piene di palazzi, templi e cortili, erano i centri amministrativi e religiosi dei tre regni riuniti a metà Novecento. Molti edifici, costruiti con mattoni, legno e pietra, furono costruiti tra il XII e il XVIII secolo e rappresentavano l’apice della maestria artistica e artigianale del periodo.
La torre Dharahârâ, eretta negli anni ’30 dell’800, una struttura di nove piani famosa per la sua vista sulla Valle di Kathmandu, è crollata, intrappolando e uccidendo centinaia di persone. La celebre attrazione turistica era stata ricostruita dopo l’ultimo forte sisma che colpì il Nepal nel 1934. Si riferiscono ingenti danni anche a uno dei più antichi templi indù del Nepal, Changu Narayan, che risale al III secolo. Colpito anche il complesso di templi di Swayambhunath, edificato 150 anni fa, noto anche come Tempio delle scimmie perché qui vivono delle scimmie considerate sacre. La sua «stupa» (reliquiario) centrale con gli occhi del Buddha è ancora in piedi ma altri siti e stupe sono stati distrutti.
I saccheggi sono poi diventati una seria preoccupazione e l’Unesco, insieme al Kathmandu Valley Preservation Trust sono al lavoro con le autorità locali per registrare e mettere al sicuro tutti i reperti recuperati dalle macerie.
L’identità della città
«Potrebbe sembrare fuori luogo preoccuparsi della distruzione dei monumenti storici quando sono rimaste uccise migliaia di persone, dichiara Bryony Whitmarsh, dottorando alla University of London. Ma questi palazzi e complessi di templi costituiscono il cuore e l’anima del Paese. Sono spazi vissuti dalla gente e molto amati ed è uno shock vederli distrutti». «Le persone si incontrano in queste piazze storiche e siedono sui gradini dei templi per parlare e pregare. I bambini mangiano i gelati. Sono il cuore della città», afferma Samrat Upadhyay, professore nepalese di Scienze umane all’Indiana University di Bloomington. I nepalesi hanno rapporti molto forti con il loro patrimonio architettonico, che è un misto di influssi buddhisti e indù. Viene vissuto nella quotidianità ed è stato più volte ricostruito lungo i secoli, creando quello che Whitmarsh descrive come «un palinsesto di strati differenti». L’importanza di questi siti non è tanto nella loro antichità quando «nella continuità culturale che rappresentano”, dichiara Lisa Ackerman, vice presidente del World Monuments Fund.
 
Una questione d’orgoglio
(e di turismo)

«Purtroppo un terremoto di questa violenza non guarda in faccia niente e nessuno», dichiara Ackerman spiegando che, anche se i media hanno parlato a lungo degli edifici storici e religiosi, sono state colpite anche tutte le altre strutture, come uffici e case. L’effetto cumulativo di questo disastro implica l’impossibilità di identificare una tipologia specifica di edificio da recuperare.
Per il primo ministro la ricostruzione è una priorità perché il Nepal vive di turismo: secondo i dati pubblicati dal World Travel and Tourism Council, nel 2014 il settore ha contribuito all’8.9% del Pil. Molti sono fiduciosi che l’appello di Koirala troverà seguito. «Per i nepalesi il patrimonio culturale è una questione di orgoglio, quindi lo ricostruiranno», afferma Upadhyay.
Ackerman sottolinea che il numero di vittime è quasi inimmaginabile e che nessun sito storico avrà mai lo stesso valore della vita umana, ma dice anche che sono proprio disastri di questa portata a farci capire quanto fragile possa essere il mondo. «Come comunità globale penso che dobbiamo renderci conto che ci sono dei luoghi che ci fanno sentire bene e contribuiscono alla nostra identità nazionale e locale. Quando prendono il via gli aiuti umanitari capiamo perché gli sforzi devono comprendere anche la ricostruzione degli edifici storici».
 




Il Bodhisattva Padmapâni nel monastero di Kva a Lalitpur, XIV sec. Foto di Guido Vogliotti, 1996

La piazza reale di Patan (Lalitpur); Budhânilkantha, Vishnu, 641-642 d.C. Foto di Stella Rigo Righi, 2000

Emily Sharpe, 03 giugno 2015 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Per la conservazione di un milione di piastrelle, test di acustica meccanizzati con il sostegno della Getty Foundation

Non è nell’interesse dell’Egitto fare pressione per la restituzione di antichità custodite nei musei stranieri

Tra gli eventi collaterali per l’esordio americano anche una «October Art Week» nell’Upper East Side

Vive di turismo, va ricostruito | Emily Sharpe

Vive di turismo, va ricostruito | Emily Sharpe