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William Kentridge in tenuta da accademico

Foto Édouard Brane / Académie des beaux-arts

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William Kentridge in tenuta da accademico

Foto Édouard Brane / Académie des beaux-arts

William Kentridge: «A volte è meglio trovare un’idea meno buona»

L'artista sudafricano è stato ufficialmente accolto come membro associato straniero dell'Accademia di Belle Arti di Parigi. Alcuni stralci del suo applaudito discorso

Stéphane Renault

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La solennità non impedisce né la gioia né l'emozione. William Kentridge ne ha dato prova a modo suo, con il suo umorismo e la sua profondità, durante il suo discorso sotto la Cupola del Palazzo dell’Institut de France, a Parigi, il 12 febbraio 2025, per la sua nomina a membro associato straniero dell’Académie des beaux-arts. Eletto il 15 settembre 2021 al seggio XIII dei soci stranieri, in precedenza occupato dall’orafo e gioielliere greco Ilias Lalaounis (1920-2013), l'artista sudafricano ha parlato alla presenza degli accademici (tra cui la più recente a essere stata eletta, Eva Jospin, nella sezione di scultura) e di numerose personalità, dall'ex ministra della Cultura Roselyne Bachelot-Narquin alla gallerista Marian Goodman, dall'attrice Sabine Azéma a Hervé Lemoine, presidente delle Manifatture nazionali.

Scelto da William Kentridge per riceverlo sotto la «Coupole», Érik Desmazières, membro della sezione incisione e disegno, ha ricordato in apertura il percorso dell'artista. «Caro William Kentridge, da dove cominciare? La sua opera è così ricca: c'è il disegno, la stampa in tutte le sue forme, il cinema d'animazione, la messa in scena teatrale, l’opera lirica, il gioco dell’attore, il mimo, la performance, la scultura e persino l’arazzeria... Molta comicità, influenze di grandi creatori del XX secolo. Eppure, fin dall’inizio, ci si confronta con la grande storia ed è da lì che bisogna iniziare. Il tuo bisnonno è fuggito dalla Lituania e dai suoi pogrom all’inizio del XX secolo e lei è nato in questo Sudafrica del dopoguerra, dove prospera una società divisa dalla violenza del regime dell'apartheid, regime che si sta irrigidendo anche in questi anni. […] Lei aveva un anno nel 1956 quando Nelson Mandela fu arrestato e fu difeso da suo padre, Sydney Kentridge, avvocato e instancabile difensore della lotta all'apartheid».

Cresciuto in questo clima politico sempre più teso, William Kentridge inizia a interessarsi all’arte. «Non aveva nemmeno dieci anni quando suo nonno le regalò un libro sulla pittura di paesaggio con in copertina un quadro del pittore olandese del XVII secolo Hobbema e lei scopri improvvisamente paesaggi molto diversi da quelli che circondano Johannesburg... già intravisti durante il suo primo viaggio fuori dall'Africa, in Gran Bretagna e in Italia».

Ricordando i suoi esordi nel teatro e nel cinema, Érik Desmazières ha poi evocato, parallelamente, il suo lavoro di disegnatore e incisore. «Dei disegni a carboncino, “il bastone bruciato così emblematico dell’Africa”. Incisioni in calcografia, litografie, rotocalcografie, xilografie, serigrafie, mezzi di espressione che rimarranno sempre il fondamento della sua arte. Un universo grafico tutto in bianco e nero. Lavora con tipografi in Sudafrica, ma anche con l'atelier Item in rue du Montparnasse a Parigi, diretto da Patrice Forest».

Dopo aver descritto in dettaglio le tappe della sua carriera, dalle mostre alle messa in scena di opere liriche, Érik Desmazières conclude: «Caro William Kentridge, la sua opera è riconosciuta a livello mondiale, e nel 2019 le è valso il prestigioso Praemium Imperiale, considerato il Nobel per le arti. Imbevuto della storia del suo Paese, e più in generale di quella della colonizzazione, ne fa l'essenza stessa della sua creazione. Come Callot, Goya, Daumier, Manet, Otto Dix, Beckmann, Kollwitz, Grosz, lei va oltre il tragico e lo trasforma in opere di grande bellezza plastica e grande poesia. Ma lei riesce a infondere leggerezza, comicità, quella comicità stridente e assurda che si poteva trovare ad esempio nel movimento Dada e nelle avanguardie dell'inizio del XX secolo, con anche un acuto senso dell'umorismo in cui, partecipe, si mette volentieri in scena, meglio due volte che una, a volte sdoppiato in un faccia a faccia e in un dialogo con sé stesso».

Invitato a prendere la parola, William Kentridge ha prima reso omaggio, come da tradizione, a Ilias Lalaounis, il suo predecessore in questo ruolo. L'artista è poi tornato ai suoi inizi e al suo legame con Parigi: «Sono particolarmente felice di essere ammesso all’Accademia qui a Parigi. […] Sono venuto a Parigi con Anne, la mia compagna (che è diventata mia moglie dopo un anno trascorso nella capitale) per studiare. Ho trascorso alcuni anni a Johannesburg a realizzare disegni e incisioni, ma ho deciso di smettere. Non riuscivo a togliermi dalla testa questa frase: “Non hai il diritto di essere un artista. Era il mio mantra. Forse perché gli artisti non vivono a Johannesburg, ma a Parigi o a New York. Forse quello che mi mancava era un basco da pittore e un bel paio di baffi, una tavolozza di colori o vivere in una camera in affitto. In ogni caso, mi ero abituato all'idea di aver fallito come artista. Così ho venduto la mia macchina da stampa, chiuso il mio studio e sono partito per Parigi per studiare non arte, ma teatro, accarezzando la speranza di diventare un attore. Mia moglie, dal canto suo, lavorava all’ospedale americano di Neuilly. Ho studiato alla Jacques Lecoq School, una scuola specializzata in movimento e mimo in rue du Faubourg Saint-Denis. Tre settimane dopo il mio arrivo a scuola, mi è apparso chiaro che non sarei mai diventato un attore, ma ho comunque finito l’anno e ho svolto tutti gli esercizi pratici richiesti, senza grande successo. Tuttavia, attraverso queste attività, ho imparato più su che cosa sia un artista che in qualsiasi altro corso o scuola d’arte. […] Si trattava di imparare ciò che si può esprimere e ciò che si può riconoscere in un corpo in movimento. Esiste un mondo intero nel nostro corpo, non solo nella nostra testa. […] L’espressività del corpo, al di sotto della testa, la comprensione non razionale e la predilezione per il riconoscimento piuttosto che per un sapere presupposto è la lezione più importante che ho imparato. Questo vale sia per il gesto di un attore sia per il movimento di un ballerino o per il tratto di un artista. Il pensiero risiede nel nostro corpo. [...] Ciò che viene realizzato, il soggetto, è essenziale, naturalmente, ma anche secondario. La carta e il carboncino reclamano il loro soggetto; prima saltare, poi guardare. Fidatevi dell’impulso, concedetegli il beneficio del dubbio. Questo è ciò che ho imparato alla scuola di teatro di Parigi; un approccio sempre profondamente radicato nella mia pratica».

L'artista ha poi sviluppato il suo approccio: «Alla fine, il tuo lavoro rivelerà sempre chi sei. Se è pretenzioso, arrogante o disinvolto, non puoi sfuggire al tuo stesso giudizio. Il tuo lavoro diventa, se non un autoritratto, almeno un’autobiografia. Ecco perché è spesso così doloroso esaminare il proprio lavoro. Ci troviamo di fronte alla domanda: “È davvero quello che sono? È tutto quello che sono?”[…] È rischioso lanciarsi in un progetto senza un’idea ben precisa, senza una sceneggiatura o uno script, ma è anche un’opportunità per aprirsi all’imprevisto e scoprire che non sapevi di sapere. […] Quando fai un disegno, un invito del nostro corpo, del nostro braccio, della nostra mano, ci conduce verso nuovi orizzonti. […] Il processo rivela il significato. Una forma di stupidità è vitale in studio. […] Il disegno deve sempre saperne più dell’artista. Se l'artista è più intelligente del disegno, a che serve disegnare? Questo, ovviamente, significa che bisogna lasciare spazio al dubbio, all’incertezza. Rimanere prudenti rispetto al punto di partenza, a ciò che è venuto prima, alla buona idea. Trovare la fiducia nell’inaspettato, nel dettaglio al margine del disegno che ci dà un'idea per ripensare l’intero processo. Un momento di sorpresa, in un’improvvisazione teatrale. Una risposta quasi fisica alla sorpresa di questa nuova immagine o nuovo movimento. La macchia grigia che segue la linea, ecco un’idea meno buona».

E William Kentridge, che otto anni fa ha fondato a Johannesburg il Centre for the Less Good Idea, ha ripreso, non senza umorismo, questa meravigliosa idea: «Cercare un’idea meno buona». «Il nome del centro, Centre for the Less Good Idea, deriva da un proverbio africano che dice: “Se un buon medico non può curarti, trovane uno meno bravo”. Quando le grandi idee non danno i risultati sperati, bisogna trovare altre soluzioni, più vicine, più adatte alla situazione. [...] Bisogna essere attenti e aperti alle idee che sorgono durante il processo creativo. La buona idea iniziale spesso inizia a incrinarsi man mano che le ripetizioni procedono o che il disegno prende forma. A questo punto, si hanno due possibilità: insistere, parlando più forte o tracciando linee più scure (c’è sempre una certa violenza nella certezza) o accogliere a braccia aperte ciò che emana dalle crepe, dalla periferia. Il Centro si basa su una strategia del fare che consiste nel non aspettare di vedere chiaro prima di iniziare. Ma oltre alla creazione fisica, si tratta anche di un modo di pensare: pensare attraverso la materia. Fondamentalmente, il mio modo di pensare, il mio approccio a ciò che significa essere un artista sono stati plasmati dall’insegnamento che mi è stato impartito a scuola di teatro a Parigi, 43 anni fa, e che mi ha messo così in difficoltà».

L’artista ha poi sviluppato il suo discorso, riassumendo la portata storica della sua opera: «“L’idea meno buona” ha anche un significato più ampio, in particolare il diffidare delle grandi buone idee. La storia del ’900 ci ha mostrato i disastri che sono seguiti a ogni progetto che pretendeva di sapere come doveva essere il mondo. Dato che le buone idee hanno portato a catastrofi, dobbiamo trovare soluzioni più provvisorie, più parziali e locali. Essere attenti a ciò che accade alla periferia significa anche essere aperti alle idee e agli impulsi che provengono dall’esterno del centro. Johannesburg, dove vivo, non è Parigi, né New York o Berlino, ma qui ci sono modi di vedere le cose e prospettive che aprono la strada a nuovi modi di pensare».

Dopo aver citato i suoi maestri («I dipinti di Édouard Manet sono sempre parte integrante del mio essere», i film di Georges Méliès, «Courbet e il suo studio», «Alfred Jarry e il suo Ubu») William Kentridge ha reso omaggio a diverse figure letterarie: «Penso a Ferdinand Oyono, il grande scrittore camerunese, e al suo romanzo Une vie de boy (che ho anche adattato per il teatro), che mi ha offerto nuove prospettive sulla Francia, ma anche sul fatto di crescere in Sudafrica. Ci sono gli scrittori francesi e antifrancesi ai confini della Francia. Aimé e Suzanne Césaire, che scrivevano tra Parigi e la Martinica, e Frantz Fanon, che osservava la Francia dalla Martinica e dall’Algeria. Nessuno di loro ha avuto il suo posto sotto la “Coupole”, ma tutti hanno il loro posto nel mio studio, osservano il mio lavoro, mi spingono qua e là, fanno entrare il mondo intero nel mio studio e mi ricordano costantemente ciò che è essenziale».

E ha concluso il suo discorso, molto applaudito, con questa citazione di Aimé Césaire: «Perché ricordatevi, guardatevi dall’incrociare le braccia nell’atteggiamento sterile dello spettatore, perché la vita non è uno spettacolo, perché un mare di dolore non è un proscenio, perché un uomo che grida non è un orso che balla».

Il discorso è stato seguito da percussioni africane, canto e pianoforte (in particolare «Romanze senza parole» di Felix Mendelssohn), che hanno accompagnato un video creato appositamente da William Kentridge per la sua installazione sotto la Coupole. Infine, la disegnatrice Catherine Meurice, la più giovane dell’Académie des beaux-arts, gli ha consegnato la sua spada accademica: un bastone scolpito nel legno di noce, che evoca il carboncino, ma anche «un simbolo ricco di storia e significato in molte culture del continente africano, che rappresenta il potere, la saggezza e la connessione con la terra, un mezzo per ascoltare le voci dei propri antenati; è anche un simbolo che evoca la responsabilità dell’artista, quale lei è, come portavoce delle lotte e delle aspirazioni dei popoli oppressi». La spada magica di William Kentridge porta un nastro di perle intrecciato con la scritta Find A Less Good Idea (Cerca un’idea meno buona).

 

Stéphane Renault, 15 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

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