«Deadhead» è il termine inglese con cui in orticoltura si indica la pratica di rimuovere foglie e fiori appassiti di una pianta per stimolarne la crescita. Una metafora perfetta di un ritorno all’essenziale per liberare nuove energie. Con questo titolo l’artista franco-marocchina Yto Barrada (Parigi, 1971) dal 20 febbraio al 18 maggio 2025 riunisce alla Fondazione Merz una scelta di film, sculture, installazioni, tessuti e stampe rappresentativi della sua intera ricerca artistica, informata dal pensiero postcoloniale e da preoccupazioni socio-politiche, cui si aggiungono nuovi lavori realizzati per la sede torinese. Barrada è infatti la quarta artista a ricevere il Mario Merz Prize, premio internazionale biennale ideato con l’obiettivo individuare talenti nell’ambito dell’arte e della musica attraverso la commissione di un progetto inedito.
Punto di partenza della mostra, curata da Davide Quadrio, direttore del Mao-Museo d’Arte Orientale di Torino, con Giulia Turconi è la teoria del colore enunciata nel volume Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color (New York, 1902) dall’artista, collezionista e filantropa statunitense Emily Noyes Vanderpoel (1842-1939) il cui intento era fornire nozioni base sull’uso e l’accostamento dei colori a chi non aveva né tempo né modo per studiare il tema più approfonditamente. In particolare, l’opera era pensata per un pubblico perlopiù femminile, composto da sarte, modiste, decoratrici, fioriste, e aveva la rivoluzionaria caratteristica di presentare tavole di analisi del colore ideate dall’autrice (che sembrano anticipare i principi e l’estetica del Bauhaus) in cui immagini di manufatti antichi e non sono scomposte cromaticamente in griglie. Vanderpoel definiva «la musica della luce» la disposizione sistematica del colore, grazie alla quale ogni tinta, sfumatura e ombra risuona e «s’intona» con tutte le altre, creando dei campi relazionali. Le sue teorie hanno ripreso a circolare tra artisti e designer da quando, nel 2014, la biblioteca della Smithsonian Institution ha digitalizzato il volume mettendolo a disposizione gratuitamente online.
Yto Barrada ha guardato a quelle tavole e teorie per creare le sue griglie di velluto tinte a mano della serie «Color Analysis», in cui trasforma immagini tratte dalla collezione personale di antichità di Vanderpoel, da opere della collezione islamica del Mao (dove nel 2023 l’artista ha presentato in anteprima il progetto, nell’ambito della mostra «Trad u/i zioni d’Eurasia») e da un disegno di Marisa Merz. Anche i colori con cui dipinge i velluti sono frutto di un progetto artistico, «The Mothership», ideato dalla stessa Barrada che nel suo giardino di Tangeri ha allestito un «eco campus femminista» in cui si apprendono e recuperano tradizioni indigene perdute per produrre tinture naturali. Sempre a Tangeri, per inciso, in un teatro restaurato degli anni Trenta, l’artista ha fondato nel 2006 la Cinémathèque de Tanger, primo e unico cinema di repertorio e archivio del Nord Africa.
Il lavoro di Barrada, che ha studiato storia e psicologia alla Sorbona di Parigi e fotografia all’Icp di New York, è presente nelle collezioni dei principali musei di tutto il mondo, tra cui il Metropolitan Museum (New York), Tate Modern (Londra), MoMA (New York), Guggenheim (Bilbao), Centre Pompidou (Parigi), Museu de São Paulo e le Biennali di Venezia 2007 e 2011. Ha tenuto mostre personali al Barbican Centre (Londra), The Power Plant (Toronto), The Secession (Vienna), M Museum (Lovanio), Museu Serralves (Porto) e Carré d’Art (Nîmes).
Nel 2026 l’artista rappresenterà la Francia alla Biennale di Venezia.