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«Untitled. 1991» di Donald Judd. © 2019 Judd Foundation/Artists Rights Society (ARS), New York. Foto: John Wronn

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«Untitled. 1991» di Donald Judd. © 2019 Judd Foundation/Artists Rights Society (ARS), New York. Foto: John Wronn

Donald Judd il minimalista riluttante

Al MoMA un'ampia retrospettiva in 70 opere

Federico Florian

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New York. In un testo del 1965, considerato da molti il manifesto del Minimalismo, Donald Judd (1928-84) scrive di un nuovo genere di opere tridimensionali, altrimenti dette «specific objects», che incorporano aspetti tanto della pittura quanto della scultura, senza essere né l’una né l’altra.

«I nuovi lavori tridimensionali non costituiscono un movimento, una scuola o uno stile. Le differenze tra loro sono maggiori delle somiglianze», dichiara Judd, sottolineando come un consistente gruppo di artisti americani (fra cui John Chamberlain, Claes Oldenburg e Dan Flavin) sia più interessato all’esperienza fisica, fenomenologica degli oggetti che al loro significato simbolico e metaforico. In altre parole, presenza versus rappresentazione.

Di questi «oggetti specifici», quelli di Judd si basano su sequenze modulari di elementi estremamente simili in termini di forma, ma differenti nel colore, materiale, quantità e proporzioni: sculture minimali (attributo che tuttavia l’artista rigettava), prodotte per indagare e illustrare le proprietà dello spazio reale. A questo artista che rivoluzionò il modo di concepire la scultura e che gettò le fondamenta per la nuova installation art, il MoMA di New York dedica un’ampia retrospettiva, la maggiore degli ultimi tre decenni, dall’1 marzo all’11 luglio.

Settanta i lavori in mostra, soprattutto sculture, ma anche dipinti, disegni e stampe, che Judd produsse al principio degli anni Sessanta, prima di incanalare tutti i suoi sforzi nell’ideazione di oggetti tridimensionali, come le serie di «scatole» e «pile» fatte di metalli e plastiche industriali. L’antologica segue un principio cronologico, descrivendo l’evoluzione della sua arte dagli anni immediatamente precedenti alla svolta minimalista sino ai tardi e meno noti lavori degli anni Ottanta e Novanta, la cui esuberanza cromatica e materica parrebbe contraddire il rigore e l’essenzialità delle sue opere più celebri.

Il tutto organizzato all’interno di un display sobrio e misurato: «Non volevamo creare un’architettura speciale per l’allestimento, spiega la curatrice Ann Temkin, ma lavorare approssimativamente con ciò che era a disposizione, come lo stesso Judd tendeva a fare». La mostra tiene conto anche dell’attività di Judd come critico e designer: una «sala lettura» raccoglie alcuni dei mobili dell’artista e i suoi principali scritti.
 

Federico Florian, 02 marzo 2020 | © Riproduzione riservata

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