Edek Osser
Leggi i suoi articoliMentre il ministro Bonisoli annuncia il bando per le nomine a 6 dei 30 «supermusei» statali dotati di autonomia, si chiarisce la storia della kafkiana disavventura giudiziaria di Anna Coliva, da 12 anni direttrice della Galleria Borghese. Tutto era partito da una denuncia anonima fatta propria dagli uffici del Mibac (cfr. n. 386, magg. ’18, p. 12).
Secondo l’accusa, nel 2014 la direttrice, non ancora «dirigente», si era allontanata dal lavoro senza permesso per 40 ore e 59 minuti. Ad aprile, accusata di truffa aggravata, è rinviata a giudizio. Senza aspettare il processo, il Mibac la condanna a una sanzione preventiva: sei mesi di sospensione senza stipendio. Lo scandalo mediatico è internazionale e dal mondo dell’arte si moltiplicano gli appelli per il suo ritorno al lavoro. La sospensione di Anna Coliva è breve: a maggio il giudice del lavoro afferma che gli addebiti non sussistono. A giugno cambiano Governo, ministro e dirigenti Mibac.
Il Ministero riapre il dialogo con la Coliva e inizia una trattativa conclusa il 12 novembre con una formale transazione: il Mibac annulla la sospensione e Anna Coliva rinuncia a ogni azione di risarcimento. «Sono felice di questo accordo», afferma la direttrice con sollievo: «Da trent’anni questo è il mio Ministero. Adesso posso riprendere il lavoro senza l’angoscia di questi mesi anche se resta l’amarezza per quanto è accaduto». Pace fatta col Mibac, Anna Coliva non vuole che rimangano dubbi sul suo operato di direttrice. Intende quindi avviare un’azione che renda chiare a tutti quali siano state le «responsabilità individuali» alla base di tutta la vicenda.
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