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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliCome sempre quando c’è di mezzo Giovanni Morbin, body artist e performer di origine vicentina (è nato a Valdagno nel 1956), le parole non hanno mai un significato univoco e certo. Non è semplicemente un gioco. Da artista «libero, anticonformista e anarchico», come lo definisce Daniele Capra, gli piace mettere in luce la complessità del pensiero che sta dietro il linguaggio e su questa costruisce. «Campo di ricerca», espressione che allude al campo come spazio urbano veneziano di aggregazione per eccellenza, coinvolto come spazio espositivo e di interazione tra l’artista e il pubblico, è il titolo della mostra, a cura di Daniele Capra, allestita dal 16 dicembre 2023 all’11 febbraio 2024 nella Fondazione Bevilacqua La Masa nella sede di Palazzetto Tito di Venezia (Dorsoduro 2826).
La personale con una trentina di opere è solo una delle quattro mostre con cui dell’artista si celebra il momento del suo ingresso nell’età della pensione, avendo cessato il primo novembre scorso i suoi anni di insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Verona. Mostre che ruotano intorno al passaggio in questa fase della vita, con gli schemi preconcetti che si porta dietro.
Performer capace di stare una giornata con una mano piantata in un muro, di dipingere con il sangue dei suoi committenti, di distribuire forme di pane con il calco della sua faccia, «l’arte è per lui, scrive ancora Capra, il manifestarsi di un evento in modo inatteso e surrettizio. Morbin dipinge senza essere un pittore, realizza opere tridimensionali senza essere uno scultore, è un body artist senza necessariamente utilizzare il proprio corpo, è un artista concettuale ma le sue opere sono originate dalla postura e dal comportamento. Il lavoro di Morbin è sfaccettato e fluido, ma non per questo aspetto privo della consistenza, di nodi o di impreviste diramazioni. Semplicemente le definizioni, nel suo caso, sono troppo strette».
«Ozionismo, manifesto orizzontale», in corso alla Galerie Michaela Stock di Vienna fino al 5 gennaio 2024, è la sua risposta al celebre movimento: «Che cosa fa un artista che va in pensione, riflette Morbin. E se è un artista concettuale, smette di pensare? Un performer smette di agire? Nessun intento polemico con l’Azionismo, semmai un’evoluzione dinamica: il manifesto allude a un’assenza di azione, che per me è essa stessa azione, o meglio ozione, uno spazio di libertà mentale». E poiché le quattro mostre sono concatenate l’una all’altra, anche Venezia ha il suo manifesto con il titolo di «Ozione 2», uno dei lavori che si incontra «in campo».
«È una pagina bianca, continua l’artista, acquistata all’interno dell’edizione veneziana del “Gazzettino” per essere lasciata tale, totalmente inespressa o meglio per me assolutamente espressa, lavorando nel solco della grande tradizione dei bianchi e uscendone al contempo. Nell’accumulo di informazioni che ci sommerge, fare rarefazione è creare un ambito ideale per vedere qualcosa».
Affascinato dal «cemento osseo» che la ditta Tecres produce per essere impiegato in ambito medico, Morbin ha voluto con questo materiale, superando molte difficoltà grazie alla ditta stessa che ha prodotto l’opera, dare altra forma all’ozionismo con l’opera «Manomissore»: «Le mani liberate dal lavoro, spiega l’artista, oziano, tra di loro il vuoto è riempito dal blocco di cemento, ampliamento del corpo, su cui si sono stampate le loro impronte. Un lavoro che nasce dall’incontro con questa azienda dove ero stato invitato e dove sono rimasto folgorato dal materiale che riesce a riempire mancanze, spazi rimasti vuoti nel corpo».
Sul barcone dove si vende frutta e verdura giù dal ponte dei Pugni, a pochi passi da Palazzetto Tito, si trova il video con una delle prime «Ibridazioni», parola che dà il titolo anche alla quarta delle mostre in corso fino al 14 gennaio 2024 alla Galerija Vžigalica di Lubiana, in Slovenia. «Ibridazione» è quella tra la vita vegetale e quella animale, l’insalata fertilizzata con il sangue degli animali macellati, come facevano un tempo in certe terre i contadini, prende la forma di un corpo umano nell’aiuola dell’orto.
Nel solco del superamento di limiti e confini netti, anche stare «Maninmano» girandosi i pollici è comunque un’azione. Un’opera che ci traghetta da Venezia a Bologna dove, dal 26 gennaio al 25 marzo 2024, nel Museo Civico Archeologico sarà visitabile «Indispensabile. Non so stare maninmano» (a cura di Daniele Capra). «A che cosa serve l’arte? A niente, risponde Morbin, ma viene ritenuta indispensabile perché solletica, come fosse un farmaco omeopatico con effetto a lungo termine, la nostra parte immaginifica».


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