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Giovanni Romano

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Il maestro Giovanni Romano

È morto a 81 anni lo storico dell'arte punto di riferimento di un’intera generazione

Alessandro Morandotti

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Ricorderemo Giovanni Romano (20 febbraio 1939 – 24 dicembre 2020) per quella sua aria sorniona indimenticabile, tra l’affettuoso e il canzonatorio. Era un grande felino, con l’aria vagamente indolente, ma pronto a scattare con un balzo imprevedibile. Un talento naturale degli studi storico-artistici, dotato di un dono che a pochi è concesso: le opere d’arte gli parlavano e certe informazioni le rivelavano solo a lui.

Se fosse stato un calciatore sarebbe stato Maradona. E questo paragone pop gli sarebbe piaciuto, perché amava la cultura popolare, particolarmente il mondo della canzone italiana, sempre pronto a trasformare il brano di un testo amato in una massima moraleggiante che poteva accompagnarci nei momenti più difficili; quante volte gli ho sentito recitare «a vita è un letto sfatto», un passo di una celebre canzone di Mina, utile a farci capire che bisogna sempre andare avanti, cogliere l’attimo, senza rimpianti. Eppure lui era un perfezionista, mai ossessivo, ma sempre preciso e puntuale nei suoi studi, acuti anche nei minimi dettagli.

Ci sono molti modi per essere un maestro riconosciuto negli studi, in ogni campo. In un ambito ristretto, la prassi che pone in dialogo il maestro con la ristretta cerchia degli allievi che hanno frequentato le sue lezioni, i suoi seminari, guidandone gli studi agli esordi e plasmandone il percorso con il proprio metodo. Romano non era solo questo tipo di maestro, aveva scelto una via più difficile che non a tutti risulta accessibile.  Gianni è stato un punto di riferimento di un’intera generazione, per l’intelligenza di metodo e l’originalità di sguardo, per la capacità di offrire una risposta alle domande di conoscenza e alla necessità di essere guidati e accesi di passione che sempre riguardano i più giovani ricercatori.

Proprio per celebrare il suo profilo di maestro affabile e dialogante, con molti colleghi e amici abbiamo festeggiato i suoi 80 anni riproponendo il testo di una lezione tenuta nel 1999 a un corso estivo di presentazione della Facoltà di Lettere di Torino riservato agli studenti delle medie superiori che dovevano decidere quale percorso di studio intraprendere all’Università (Una lezione per aspiranti storici dell’arte). Poteva sembrare una scelta bizzarra privilegiare quel breve testo poco noto rispetto ai suoi libri e saggi indimenticabili, dal libro d’esordio sui casalesi del Cinquecento, agli studi sul paesaggio, alla serie di introduzioni illuminanti per le mostre territoriali e per la collana degli studi sull’arte in Piemonte da lui curate.Quel testo semplice e lineare fa trasparire però la necessità di introdurre gli studenti ad una lingua, quella figurativa, molto trascurata dai programmi ministeriali negli anni della formazione preuniversitaria.

Il grande studioso deve anche sapere divulgare, ed è quello che ci fa capire quella lezione, ancora molto attuale per chi insegnando all’Università si trova nella costante necessità di alfabetizzare ragazzi che arrivano dal liceo con insufficiente abitudine alla lettura delle immagini e senza la capacità di collocare nel giusto tempo e nel corretto spazio le opere d’arte, sulla base dell’analisi dello stile e dell’iconografia.

In molte parti, traspare la meravigliosa ironia di Romano, carattere della sua intelligenza viva che tutti gli riconoscevamo, laddove, a titolo d’esempio, in chiusura, ricorda come sia importante conoscere le storie dei santi analizzando le opere d’arte del passato, da lui assimilate, come favole indelebili nella memoria infantile, negli anni in cui aveva frequentato un asilo gestito dalle suore.
 

Giovanni Romano

Alessandro Morandotti, 24 dicembre 2020 | © Riproduzione riservata

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