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Il sesto dito

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Franco Fanelli

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In una favola raccontata da Tullio Pericoli, disegnatore e pittore, l’uomo primitivo pensava di essere l’elemento di un grande disegno, creato da mani altrui; ma quando, brandendo un tizzone carbonizzato, tracciò i primi segni sulle pareti di una caverna, e nel momento in cui quei segni si organizzarono in forme riconoscibili, scoprì che, da «creato», poteva diventare egli stesso creatore. È l’inizio del breve scritto che l’artista marchigiano (1936), milanese d’adozione, ha raccolto in Storie della mia matita, titolo tra gli ultimi uscito per i tipi di Henry Beyle, che produce piccole edizioni di pregio in tiratura limitata (questa è di 575 esemplari). Per Pericoli il tizzone del cavernicolo è il «mozzicone» di matita che abitualmente porta in tasca e diventato, col tempo, il «sesto dito» della propria mano. Ma l’autore va oltre: la matita, spiega, può essere l’analogo della bacchetta agitata dal direttore d’orchestra; e se il disegnare è per lui anche educazione al vedere, il puro e libero «segnare» dà origine a una sinfonia in forma di alfabeto: nascono così le sessanta piccole tavole che, raccolte in una cartella, corredano lo scritto e ne completano l’identità di vero e proprio libro d’artista. Sono liberi «spartiti», tracciati sull’onda dell’«Incompiuta» di Schubert e contemporaneamente repertorio grafico nel quale convergono molteplici tipologie grafiche: una sinfonia per gesti e segni, spiega l’autore, nella quale affiora la memoria dell’«alfabeto» grafico utilizzato degli autori amati, da Morandi a Piranesi, da Kubin a Giacometti, da Piero della Francesca a Cézanne.  




Franco Fanelli, 21 luglio 2015 | © Riproduzione riservata

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Il sesto dito | Franco Fanelli

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