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La cappella sistina della pax bizantina

Raffaella Giuliani

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Si riapre Santa Maria Antiqua, «chiesa ponte» tra l’Urbe e Costantinopoli, tra il Foro pagano e quello cristiano: «La sua forte accezione iconica, spiega la curatrice della mostra inaugurale, è in grado di parlare a un mondo, quello moderno, fortemente segnato dall’immagine»

Sino all’11 settembre è aperta la mostra «Santa Maria Antiqua tra Roma e Bisanzio», promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma con Electa. Ne parliamo con Maria Andaloro, ideatrice della mostra e curatrice, insieme a Giulia Bordi (Università degli Studi di Roma 3) e a Giuseppe Morganti (Soprintendenza). Maria Andaloro, professore emerito di Storia dell’arte bizantina e Storia dell’arte medievale in Europa e nel Mediterraneo presso l’Università degli Studi della Tuscia a Viterbo, si muove con la sicurezza propria solo dei grandi studiosi in Santa Maria Antiqua, chiesa chiave nel panorama romano fra VI e metà IX secolo, testimonianza eccezionale della facies culturale greco-bizantina, che a Roma viene quasi sistematicamente cancellata dalle trasformazioni dei secoli successivi, mentre nel mondo greco-orientale ha subito le devastazioni della lotta iconoclasta. La professoressa Andaloro si è accostata più di trent’anni fa al complesso intreccio di vicende storiche, artistiche, religiose e teologiche che hanno portato alla trasformazione di alcuni ambienti di epoca tardodomizianea situati nel Foro, alle pendici del Palatino, nella Chiesa di Santa Maria Antiqua. Nel 2001 è stato avviato dalla Soprintendenza Archeologica di Roma un ambizioso intervento di restauro, vero cantiere modello, conclusosi negli ultimi mesi, che si è avvalso del contributo di istituzioni italiane e straniere, private e statali, tra cui il gruppo interdisciplinare della Facoltà di Conservazione dei Beni culturali dell’Università della Tuscia, diretto da Maria Andaloro.

Professoressa Andaloro, può spiegarci che cosa rende Santa Maria Antiqua così eccezionale?

Le grandi basiliche romane ci danno il senso della continuità della storia cristiana di Roma, dalle origini ai secoli moderni. Santa Maria Antiqua, invece, è espressione di una parte della storia di Roma, quella della città della riconquista bizantina, precedente l’avvento dell’età carolingia. La chiesa infatti, col patrimonio straordinario delle sue pitture, maggiormente conserva intatta l’adesione alla cultura greca, che emerge non solo dalle sue iscrizioni dipinte, ma soprattutto dal suo linguaggio figurativo, che è bizantino nella declinazione ellenistica. Tale sistema, che veicola in modo qualitativamente alto il mondo della Chiesa greca, documenta il momento in cui vi era l’unità tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, prima di ogni scisma, e, in parte, prima di ogni lotta iconoclasta. D’altro canto Santa Maria Antiqua è profondamente radicata nella cultura romana, anche nella sua collocazione topografica, «rannicchiata» nel Foro romano, ai piedi del Palatino, legata a questo colle glorioso e ai suoi palazzi, fisicamente dalla rampa domizianea allora ancora in uso e oggi riaperta, ma anche dalla funzione che certamente svolse di chiesa prima palatina e poi papale. Di qui passarono imperatori, esarchi, dignitari e papi. L’eccezionalità di Santa Maria Antiqua fu evidente fin dalla sua riscoperta, avvenuta nel 1900 ad opera di Giacomo Boni: si impose subito all’attenzione degli studiosi, tanto da venir definita da Rushforth «la cappella sistina dell’VIII secolo». 

In che modo la mostra può aiutare il visitatore a comprendere la complessa vicenda del monumento?

Al visitatore vengono offerti diversi percorsi conoscitivi. Un primo percorso è costituito da opere mobili (teste-ritratto, mosaici ecc.) in stretto rapporto con le quattro fasi pittoriche dell’edificio, cristallizzate nella celebre «parete palinsesto», la parete a destra dell’abside: qui si va da Maria Regina (databile agli inizi del VI secolo) per arrivare agli anni di Giovanni VII (705-707), con la grandiosa «Esaltazione della Croce», passando attraverso lo strato di fine VI secolo, che restituisce i resti dell’«Annunciazione» con l’«Angelo bello», e l’intonaco con i dottori della Chiesa greca e latina, da porsi in rapporto con il Concilio del Laterano (649). Proiezioni luminose consentiranno di sfogliare diacronicamente le pitture della parete palinsesto, che nella realtà il visitatore percepisce sincronicamente. Il secondo percorso è prettamente multimediale: fondamentale è il video che mostra la ricostruzione virtuale delle diverse fasi delle trasformazioni pittoriche della chiesa, incentrate sul presbiterio. Video mapping sono dedicati alla lettura della Cappella dei Santi Medici, del tempo di Giovanni VII, e della cappella Teodoto, ove vengono restituiti i rivestimenti marmorei della seconda metà del IV secolo e le storie dei santi Quirico e Giulitta, offerte, insieme a quattro pannelli iconici, dal primicerio Teodoto, al tempo del papa Zaccaria (741-752): la cappella può considerarsi la risposta romana a difesa delle immagini riguardo la contemporanea iconoclastia di Bisanzio. Un terzo tipo di percorso sarà quello fisico-esperienziale: grazie ad esso, il visitatore uscirà dall’edificio di Santa Maria Antiqua, salirà la rampa domizianea, godrà dell’affaccio sul Foro, ridiscenderà la rampa, per visitare la sezione «Scavi e scoperte», ove vedrà esposti i reperti degli scavi di Boni, e potrà ammirare le ricomposizioni di una mirabile testina in opus sectile, proveniente dalla Cappella di Teodoto, e di un lampadario.

Lei ha definito Santa Maria Antiqua una «chiesa-ponte». È un concetto molto stimolante e di grande attualità.

Santa Maria Antiqua è un monumento che attiva molteplici connessioni: è un ponte tra Roma e Bisanzio, tra il Foro Romano e il Palatino, non solo topograficamente, ma anche simbolicamente e da un punto di vista funzionale, come abbiamo visto. È un ponte tra il Foro pagano e il Foro cristiano e medievale, il foro delle chiese perdute e delle processioni. E con questa mostra Santa Maria Antiqua vuole finalmente stabilire una connessione con il nostro tempo, aprendosi ad esso. La mostra infatti si conclude con «Le pietre del Foro», 40 fotografie scattate dal compianto Rodolfo Fiorenza tra 2010 e 2011.

Nell’apparato pittorico della chiesa lei evidenzia la convivenza della componente narrativa accanto a quella iconica.

Le pitture di Santa Maria Antiqua hanno rivoluzionato il concetto di arte bizantina. In effetti in questo luogo la componente «romana» dell’immagine come narrazione di un racconto, seppur comunque di carattere sacro, ad esempio nei quadri ispirati alle storie dell’Antico e del Nuovo Testamento sulle pareti delle navate, del tempo di Paolo I (757-767), si salda alla componente più fedelmente greca dell’immagine come icona, come rappresentazione delle figure sacre, che si offre al fedele per stabilire un rapporto diretto e personale. E nella sua forte accezione iconica può rivelarsi la modernità di Santa Maria Antiqua, in grado perciò di parlare a un mondo, quello moderno, fortemente segnato dall’immagine, più che dalla scrittura.

Abbiamo parlato di icone e la mostra riserva una grande sorpresa al riguardo.

Dopo quindici anni di restauri e di studi, dopo un lunghissimo periodo di chiusura al pubblico, Santa Maria Antiqua, in un certo senso, oggi rinasce. Non poteva mancare, in questa rinascita, il ritorno della grande icona che, a seguito del terremoto dell’847 che segnò l’abbandono della chiesa, fu trasferita nella Chiesa di Santa Maria Nova, eretta nel Foro al posto dell’antica. Questa preziosissima immagine è la più antica (seconda metà del VI secolo) fra le poche icone precedenti l’iconoclastia venerate a Roma. E così, il 15 marzo, l’antica icona, fino ad allora custodita nella sacrestia della Chiesa di Santa Maria Nova, meglio conosciuta come Santa Francesca Romana, è stata riportata con una suggestiva processione attraverso la via Sacra nella sua sede originaria.

Raffaella Giuliani, 04 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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