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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliLavori nella cappella di Saint-Sulpice che custodisce tre opere dell’artista
Mentre si avvicina la data di inaugurazione della mostra «Delacroix e la nascita dell’arte moderna» che si terrà alla National Gallery di Londra dal 17 febbraio al 22 maggio, all’interno della chiesa di Saint-Sulpice la Cappella dei Santi Angeli, le cui pareti sono affrescate da Eugène Delacroix, dalla fine del 2015 non è più accessibile al pubblico e non lo sarà per tutto il 2016. Sulle impalcature lo staff di restauratori diretto da Alina Moskalik è al lavoro per analizzare lo stato di salute delle opere e stilarne entro febbraio una diagnosi esatta. Dopodiché prenderà il via il restauro vero e proprio, per una spesa stimata intorno ai 450mila euro (un’operazione di crowdfunding lanciata dalla Fondation du patrimoine ha già raccolto più di 35mila euro).
Il ciclo pittorico, con i due dipinti murali «La lotta di Giacobbe con l’angelo» e «Eliodoro scacciato dal Tempio», cui si aggiunge la tela per il soffitto «San Michele sconfigge il demonio», fu realizzato dal capofila del Romanticismo francese tra il 1849 e il 1861. La cappella è stata restaurata regolarmente ogni trenta, quarant’anni, e l’ultimo intervento risale al 1977. Ma «da allora sono stati constatati sollevamenti di colore, ci ha spiegato Marie Monfort, conservatore capo delle opere d’arte religiose e civili della città di Parigi. Lo strato di sporco è molto spesso e, poiché quasi non ci sono vernici, esso tocca praticamente lo strato pittorico originale. Diversi studi sono stati condotti tra il 2008 e il 2012, ma piuttosto superficiali. Ci siamo resi conto che la tecnica utilizzata da Delacroix resta ancora poco nota e le nostre analisi dovranno servire a colmare questa lacuna».
Delacroix aveva dovuto fare i conti con il clima umido della chiesa parigina (dove si trova la meridiana che Dan Brown ha posto al centro del suo best seller Il Codice Da Vinci) e per rendere la pittura impermeabile a eventuali infiltrazioni aveva deciso di sperimentare una tecnica a olio e cera su intonaco.
Se altri artisti avevano già lavorato con la cera a freddo, lui scelse di lavorare a caldo. Una «ricetta personale e originale» che però non si rivelò sempre vincente. «All’inizio aveva impregnato così tanto i muri, spiega la conservatrice, che questi si erano messi a trasudare e il pittore aveva dovuto scrostare tutto e ricominciare da capo». Delacroix raccontò l’episodio nel suo «Journal» che fu pubblicato per la prima volta nel 1893. Per isolare le pitture sovrappose in alcuni punti fino a 13 strati, ma ogni minima variazione nelle condizioni di conservazione poteva causare alterazioni: «Forse una parte dei problemi che si registrano oggi sono stati causati dalla tecnica stessa impiegata da Delacroix per garantire l’eternità alla sua opera». Fortunatamente le muffe non hanno attaccato le pitture.
Oltre all’umidità, anche l’inquinamento deve essere stato nocivo. Si aggiunga che nel 1977 i restauratori hanno applicato una sorta di pellicola di resina sintetica che serviva a fissare la pittura al muro, ma che probabilmente le ha impedito di respirare: «Saremo obbligati a eliminarla». In ogni caso questo restauro rappresenta una vera sfida per gli esperti. Non c’è dubbio che di fronte all’originalità del lavoro di Delacroix i restauratori dovranno mettere a punto una tecnica altrettanto inedita per garantire la conservazione dei capolavori in pericolo: «Bisognerà adattare le tecniche di pulitura. Saremo obbligati a fabbricare noi stessi i prodotti di restauro. Sicuramente, conclude Marie Monfort, non si dovrà utilizzare acqua e l’uso dei solventi sarà ridotto al minimo. Ricorreremo piuttosto al gel». Sul lato corrispondente alla cappella il tetto della chiesa è stato ristrutturato una decina di anni fa.
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