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Massimiliano Cesari
Leggi i suoi articoliInaugurato il secondo piano del Museo Archeologico Nazionale di Taranto
Il 28 luglio il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini hanno inaugurato il secondo piano del MArTA, il Museo Archeologico Nazionale, fra i più importanti d’Italia, fondato nel 1887. La struttura, diretta da Eva Degl’Innocenti, uno dei venti superdirettori, è annoverata tra quelle ad autonomia finanziaria, e non afferisce più alla Soprintendenza Archeologia, la cui sede con il riordino è stata spostata, non senza polemiche, da Taranto a Lecce.
L’evento chiude un percorso complesso e accidentato, che ha visto il museo chiuso per un lungo periodo, a causa di lavori di ristrutturazione iniziati nel lontano 1998, con due parziali riaperture nel 2007 e nel 2013 (inaugurazione del primo piano). Una situazione resa ancor più complicata dalla carenza, ormai cronica, di personale, e dalle recenti dimissioni di Pier Giovanni Guzzo dal Comitato scientifico del museo.
Il nuovo allestimento, progettato dall’architetto Augusto Ressa con la consulenza scientifica dell’archeologa Antonietta Dell’Aglio, ricostruisce la storia di Taranto dal Neolitico alla seconda metà del IV secolo a.C. Il pubblico può finalmente vedere opere rimaste finora inaccessibili, come lo Zeus di Ugento, una statua in bronzo datata intorno al 530 a.C. rinvenuta nella cittadina salentina di Ugento nel 1961 e ancora oggi al centro di un’accesa rivendicazione da parte di questa comunità.
In esposizione anche le Veneri di Parabita, statuette paleolitiche in osso di bue; la Tomba dell’Atleta di Taranto; la copia fedele, realizzata con un sofisticato scanner laser, della Persefone Gaia, il cui originale è custodito oggi all’Altes Museum di Berlino; e la Kore di Montegranaro, sempre del VI secolo a.C.
Il museo si propone quale polo culturale di un’area problematica, fortemente segnata dalla presenza del polo siderurgico dell’Ilva. Spiega la direttrice: «vuole essere una testa di ponte per la rinascita della città e del suo modello di sviluppo, basato non più sull’industria ma sulla cultura come elemento identitario».
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