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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliAll’indomani del furto delle 17 opere del Museo di Castelvecchio di Verona si sono esercitati alcuni commentatori di sorprendente pressappochismo, atteggiati a sapienti.
Il primo è, come sempre, su «la Repubblica», Tommaso Montanarini, perentorio e ultimativo: «La prima cosa da dire è che questi quadri vanno recuperati prima di subito». Bravo. Non sembra, però, che né i ladri né il ministro dell’Interno lo abbiano ascoltato. In ogni caso Montanarini non è soddisfatto e aggiunge profeticamente: «Il secondo punto è impedire che accada di nuovo». Bravissimo. Una posizione veramente rigorosa! Verrebbe da chiedersi chi non vuole che vengano recuperati subito e chi si augura che accada ancora.
Sembra già molto originale questo pregevole argomentare, ma è superato dal linguaggio di uno spaesato incompetente che si è spinto, quanto a banalità e imprecisioni, più avanti, ballonzolando sulla grammatica: Francesco Bonami. Ci si chiede come un grande giornale come «La Stampa» possa affidare «analisi» a un minorato culturale come Bonami, il quale, più spericolato di chiunque, inventa parole e formule insensate. La grammatica per lui è un’opinione. Credevate che «barbarie» fosse un sostantivo femminile indeclinabile? Bonami non lo sa, e scrive, con perfetta tranquillità: «Lasciar portare via il proprio patrimonio artistico significa lasciar avanzare un’alzhaimer culturale e civile (sic!) dal quale ogni barbaria (sic!) trarrà beneficio». Ogni barbaria! Limpidissimo il concetto che segue, come un proclama: «Un’opera d’arte non vale mai come una vita umana». Bonami non ha esitazioni: «Se si potessero scambiare (sic!) 129 capolavori per riavere tutte le vittime degli attentati di Parigi, io non avrei dubbi». Bonami non si dà pace: «Ma siccome non si può, allora l’arte che la storia e la civiltà ci hanno donato deve essere tutelata perché anche il vuoto lasciato da una piccola scultura di un artista minore rubata da una chiesa è un vuoto che si crea nella nostra memoria». Non so con quali strumenti Bonami potrà riconoscere «una piccola scultura» di un artista minore; ma più che l’opera trafugata ci colpisce la sua severissima indignazione. E ne escono un vaticinio e una soluzione così sconclusionati da sfiorare il sublime: «Orson Welles cinicamente diceva che insieme al sangue e alla violenza creato (sic!) dai tiranni rinascimentali sono venuti fuori (sic!) Michelangelo, Leonardo, Mantegna, mentre dai tanti secoli di pace della Svizzera è venuto solo l’orologio a cucù. La violenza oggi vuole distruggere sia Michelangelo che l’orologio a cucù o magari limitarsi a rubare una tela in una chiesa sconosciuta». Proprio così: «La violenza vuole (...) limitarsi a rubare». Anche una tela, in una chiesa sconosciuta! A lui, naturalmente. Quale chiesa è sconosciuta? Grande psicologo, questo Bonami! Conosce anche i rarissimi ladri degli orologi a cucù! La materia di cui è ritenuto specialista. Così ci dice, solennemente, senza perdere troppo tempo con la grammatica: «Difendere tutto questo non è una questione di ciò che conta di più o di meno ma di far capire ai barbari con il mitra o con il grimaldello che la civiltà è una sola, senza ma né però». Sarà difficile dimenticare quel «grimaldello», alternativo al «mitra». E i barbari sappiano che saranno perseguiti «senza ma né però», anche con un grimaldello, notoriamente offensivo. Veramente un’«analisi» illuminante e definitiva. E magari, alla «Stampa», il Bonametto lo pagano anche!
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