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Marchette free press

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Franco Fanelli

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Si dice che nelle recensioni giornalistiche siano sparite le stroncature. Il che non è del tutto vero: l’unico settore davvero esente è quello delle mostre di arte visiva, ad eccezione, talora, della Biennale di Venezia. L’esonero totale dalla stroncatura è esclusiva delle mostre nelle gallerie private: o se ne scrive positivamente o se ne tace.

Universalmente applicata, estesa dallo spazio pubblico a quello privato, è invece la pratica opposta, cioè la marchetta. Qui il repertorio è quanto mai vasto e non sempre la marchetta è prestazione giornalistica frutto di uno scambio in denaro. Lo è nel caso degli inserti a pagamento sui quotidiani, per i quali gli organizzatori stanziano una parte non secondaria del budget. È la «marchettona a due piazze», che si allarga su due paginoni non poi così distinguibili rispetto al resto del giornale. Vi scrivono purtroppo le stesse firme (molte autorevoli) che sarebbero chiamate, in tempi più dignitosi per la carta stampata, a commentare le stesse mostre in forma diciamo così più libera.

Ben più subdola la «marchetta in coda», specialità televisiva  cui in genere non presiede pecunia ma una conoscenza che conta. La competenza con cui i nostri Tg trattano l’arte contemporanea è tristemente nota; ancora più tristi sono i servizi che ogni tanto, misteriosamente, appaiono alla fine della trasmissione, generalmente dedicati a sconosciuti amici degli amici protagonisti in qualche galleria di mezza tacca. È una pratica che ha molta diffusione nei Tg regionali, così come è nelle pagine cittadine dei quotidiani che la marchetta galleristica trionfa indisturbata.

Anche in quest’ultimo caso non è detto che il movente sia qualche modulo di pubblicità; più spesso è semplicemente l’espressione di qualche piccolo potentato locale, o il risultato dell’amicizia dell’«artista» con  il caporedattore. Sono le marchette «free press», nel senso che non si pagano.

Ma a proposito di libertà, termine così caro al mondo di internet: fa più danno la marchetta vecchio stile o l’indiscriminata pubblicazione di ogni tipo di informazione che riguardi, nel nostro caso, le mostre? Su internet passa di tutto. Scompare la marchetta, è vero, che, per rimanere all’origine poco nobile del termine, sta alla carta stampata come la prostituzione stava alle case di tolleranza; internet, in tal senso, le ha abolite.

Ma alla fine dei conti e per la salute del lettore, è più nociva la penna del prosivendolo cartaceo di turno o la prosa di certi comunicati stampa, visto che il copia e incolla è sul web la pratica «giornalistica» più diffusa?

Franco Fanelli, 22 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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Marchette free press | Franco Fanelli

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