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Gerusalemme, interno del Santo Sepolcro

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Gerusalemme, interno del Santo Sepolcro

Nel Santo Sepolcro: il lavoro che ogni archeologo vorrebbe

Nuova fase tutta italiana di interventi in uno dei luoghi simbolo più importanti al mondo

Raffaella Giuliani

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Gerusalemme. Lavorare nel Santo Sepolcro: la proposta, rivolta al Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma Sapienza, è di quelle che segnano indelebilmente la carriera e la vita di un archeologo. Il Santo Sepolcro, uno dei luoghi simbolo più importanti al mondo, per i cristiani forse in assoluto quello più significativo, scenario della morte e della risurrezione di Gesù, è da tempo sotto costante osservazione da parte delle comunità religiose che, secondo il regime dello status quo, custodiscono la basilica garantendo lo svolgimento del culto e la cura del monumento.

Le principali comunità sono il patriarcato greco-ortodosso, la francescana Custodia di Terra Santa e il patriarcato armeno. Dopo i lavori di restauro, svolti tra il 2016 e il 2017 da parte dell’Università Tecnica di Atene, nell’edicola che racchiude ciò che resta della tomba di Gesù, erano stati evidenziati dei rischi conservativi, dovuti alla grande umidità nel sottosuolo della basilica. Così, nel maggio 2019 è stato siglato da parte delle tre comunità, con vero e costruttivo spirito ecumenico, l’avvio di una nuova fase di lavori di restauro e di risanamento del Santo Sepolcro, dedicati questa volta alla pavimentazione dell’edificio, di cui si prevede la rimozione per individuare le zone di umidità e possibilmente eliminarle, operazione questa non facile data la natura geologica rocciosa e quindi scarsamente permeabile del sito.

Il pavimento attuale in pietra rosata, infatti, poggia su una struttura metallica che copre tubi di raccolta delle acque e importanti resti archeologici, riferibili alla basilica fatta costruire da Costantino nel 325 e alle fondazioni del tempio innalzato da Adriano agli dèi pagani nel 135 d.C. per occultare le memorie cristiane. Questi resti sono stati in parte già indagati da padre Virgilio Corbo negli anni Sessanta del secolo scorso, ma altre zone sottostanti la pavimentazione non sono state mai esplorate.

Per questo motivo i nuovi lavori in programma prevedono un aspetto più propriamente tecnico, conservativo e strutturale, e un aspetto di indagine archeologica, preliminare e funzionale al primo, oltre a una serie di interventi di adeguamento impiantistico e di messa in sicurezza. Per affrontare un programma di lavoro così complesso, presentato ufficialmente lo scorso 10 dicembre a Gerusalemme, e che richiede la messa in campo di competenze estremamente avanzate e diversificate, la scelta è caduta su due istituzioni scientifiche italiane: per quanto riguarda l’aspetto tecnico-conservativo il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale presieduto da Stefano Trucco, mentre per quanto riguarda la ricerca archeologica il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università La Sapienza di Roma, diretto da Giorgio Piras.

A questo punto entra in gioco la professoressa Francesca Romana Stasolla, docente di Archeologia cristiana e medievale a capo del gruppo di lavoro del Dipartimento. La sua è una missione che impegna altamente le sue capacità di archeologa sul campo già tante volte messe alla prova con ottimi risultati, negli ultimi anni soprattutto nel sito di Leopoli-Cencelle (Civitavecchia). Svolgere indagini archeologiche nel Santo Sepolcro è un’opportunità unica, che ogni archeologo vorrebbe avere: arricchire di nuovi e importanti dettagli il patrimonio di conoscenze su questo sito potrebbe avere delle ricadute sulla ricostruzione delle vicende alla base della fede cristiana e della cultura occidentale.

Certamente non si tratta di una sfida facile: la condizione posta dalle autorità religiose è infatti chiara, i lavori non dovranno interrompere il flusso dei pellegrini e lo svolgimento delle liturgie. Questa condizione imporrà la sperimentazione di nuove strategie metodologiche. La rimozione della pavimentazione perciò sarà guidata da scelte non solo tecnico-strutturali e scientifiche, ma anche logistiche, e ciò imporrà agli archeologi un continuo e paziente lavoro di apri e chiudi, per giunta mettendo in collegamento zone già indagate da padre Corbo con zone inesplorate.

Ne consegue che un aspetto fondamentale dell’indagine archeologica sarà quello della documentazione, sia quella già esistente, proveniente da scavi pregressi e battute fotografiche, sia quella di scavo, che dovrà essere quanto più possibile fedele e particolareggiata, ma, al contempo, eseguibile in tempi certi e contenuti. La cura documentaria riguarderà inoltre l’intero processo di scavo, che potrà così essere messo a disposizione della comunità scientifica in modo trasparente, per ricavarne tutte le informazioni sul metodo adottato e sui risultati ottenuti.

In questa «mission impossible», la Stasolla però non sarà sola: oltre agli archeologi del suo dipartimento, ha già chiamato a raccolta i colleghi dei Dipartimenti di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo; di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale; di Ingegneria Astronautica, Elettrica ed Energetica della Sapienza per avvalersi delle più avanzate tecniche digitali di documentazione e di rappresentazione grafica da questi messe a punto. Un’articolata équipe scientifica che è motivo di orgoglio per la ricerca italiana, e da cui attendiamo con grande interesse di seguire l’avvio, nei prossimi mesi, della fase operativa.

Raffaella Giuliani, 21 febbraio 2020 | © Riproduzione riservata

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