Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliEike Schmidt conclude il mandato da direttore della Galleria degli Uffizi con il riallestimento della sala 1 del museo, dov’è riunita la pittura in Toscana, e soprattutto a Firenze, prima dell’arrivo di Cimabue e di Giotto (fra il XII e la fine del XIII secolo). Sotto la direzione di Antonio Natali (con Angelo Tartuferi responsabile del dipartimento) e grazie agli «Amici degli Uffizi», nella sala erano state riunite opere che avevano avuto difficolta a trovare collocazione nel percorso della Galleria e che avevano transitato anche nella «Sala delle Maestà» (dove sono conservate le Maestà di Duccio, Cimabue e Giotto), alterando così un po’ il progetto degli architetti che l’avevano concepita: Ignazio Gardella, Giovanni Michelucci e Carlo Scarpa. Schmidt esprime la soddisfazione di essere giunto ad applicare anche nella sala 1 principi ritenuti da lui essenziali: l’illuminazione delle opere, secondo un criterio adottato fin dal riallestimento della sala di Botticelli nel 2016, e la possibilità di vedere i dipinti privi di transenne, ma con robusti vetri anti riflesso che li proteggono sia da attacchi esterni sia da difficili condizioni climatiche e ambientali, tra cui il fiato dei 12-15mila visitatori che nelle ore di punta percorrono le sale del museo.
Antonio Godoli, architetto degli Uffizi in servizio fino a qualche anno fa, ma che pur da pensionato ha continuato a seguire i progetti da lui avviati, e Schmidt hanno riflettuto sul nuovo ordine dei pezzi esposti, prendendo ispirazione dalla «Sala delle Maestà», concepita negli anni Cinquanta con l’intento di ricordare uno spazio ecclesiastico ma «traducendo, il linguaggio di Gardella Michelucci e Scarpa nelle possibilità tecnologiche di oggi», spiega Schmidt. Daniela Parenti, curatrice del Dipartimento medievale e rinascimentale nonché della collezione delle icone russe, sottolinea l’importanza delle opere riunite nella sala 1, con i due grandi Crocifissi posizionati come lo erano di solito le croci nelle iconostasi delle chiese rappresentanti le due tipologie, il Cristo trionfante, con gli occhi aperti, e il Cristo sofferente, secondo una tipologia adottata nei secoli nell’arte occidentale. Notevole il dossale d’altare con il «Redentore, la Vergine e i santi Giovanni Evangelista, Pietro e Paolo» (proveniente dalla raccolta di Vincenzo Taccoli Canacci, uno dei primi collezionisti col gusto dei «primitivi»), opera datata 1271 che nella composizione con le figure entro arcate anticipa la struttura dei polittici, è firmata da Meliore, un pittore fiorentino che aveva combattuto nella battaglia di Montaperti nel 1260. Vi sono poi alcuni dipinti di «Madonna col Bambino», tra cui una di imponenti dimensioni proveniente da Greve in Chianti, ma anche il grande dittico proveniente da Lucca con le storie di santa Chiara di Assisi, canonizzata nel 1255, riferibile a Bonaventura Berlinghieri. Opere tutte molto ben conservate che documentano la devozione nei decenni a venire, quando pur si affermerà il naturalismo giottesco.
L’allestimento scelto per la sala, a fondo grigio scuro, favorisce la concentrazione sulle forme stilizzate dei dipinti, tendenti alla bidimensionalità e con colori accesi e contrastanti, esaltati dalle scelte di illuminazione, con luci a led a 3.000 gradi Kelvin per esaltare ori e colori caldi e a 4.000 per le tonalità fredde. In tal modo un linguaggio pur distante da noi come quello medioevale può collegarsi alla contemporaneità, «quasi al linguaggio dei fumetti giapponesi», commenta Parenti. Schmidt annuncia anche l’uscita prossima dei primi due volumi del catalogo scientifico della Galleria degli Uffizi, cui seguiranno i volumi degli autoritratti, mentre sono già partiti i lavori per il catalogo della pittura del Settecento, tutti frutto della stretta collaborazione tra studiosi specialisti italiani e stranieri.
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