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Lidia Panzeri
Leggi i suoi articoliVenezia. Sono 51 i siti italiani iscritti nella Lista Unesco del Patrimonio mondiale. Un bel numero, se si considera che in totale la lista ne annovera 1.052, distribuiti in 193 Paesi. È un primato destinato però a ridimensionarsi, a mano a mano che aumenteranno le adesioni dei Paesi dell’Estremo Oriente, in primis della Cina. Quello che invece permarrà è la sensibilità culturale verso il nostro patrimonio paesaggistico e artistico che ha determinato tale primato.
Sono tra i dati emersi dal convegno promosso dallo Iuav di Venezia in collaborazione con il Mibact e ospitato il 3 marzo dall'Istituto universitario veneziano. Una riflessione quantomai opportuna per fare il punto su «I siti del patrimonio mondiale Unesco: come gestirli al meglio?», a quarant’anni di distanza dalla loro istituzione. Un problema dalle molte incognite, non tanto nel caso di un singolo monumento quanto per siti estesi, come la laguna di Venezia o un intero territorio come quello delle Langhe. Certo il riconoscimento di un borgo quale patrimonio per l’umanità è un fatto di prestigio, ma non è detto che questo comporti, ipso facto, una sua rivitalizzazione.
«51 siti costituiscono una straordinaria opportunità per il turismo, ha sostenuto Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario Mibact con delega all’Unesco, ma la gestione è difficile anche per la loro diversità. Sarebbe opportuna una visione al di là dei calcoli politici.Un buon punto di partenza è il riconoscere le proprie radici»: il che comporta l’indispensabile coinvolgimento della società civile, come sottolineato da molti relatori. «Occorre formare una nuova generazione di studiosi, con competenze trasversali che superino le singole discipline», ha ribadito Alberto Ferlenga, rettore dello Iuav. Durante la giornata veneziana si è confrontata la gestione di due complessi siti italiani, di recente istituzione: le Dolomiti e le Langhe.
Da parte sua Francesco Bandarin, vicedirettore generale Unesco, ha sintetizzato l’attuale situazione dei siti nei diversi Paesi, ribadendo che cultura e patrimonio sono fattori di sviluppo economico. Perché questo diventi sostenibile sono stati individuati 17 possibili obiettivi, gli stessi, come evidenzia la direttrice dell’Ufficio Unesco del Mibact Maria Grazia Bellisario, recepiti nella legge 77 del 20 luglio 2006, per cui sono stati investiti nel tempo più di 23 milioni di euro, destinati al monitoraggio dei siti, alla fornitura di supporto tecnico e assistenza scientifica nonché a un aiuto nella comunicazione.
Il caso Venezia
Di positivo, nel caso di Venezia, c’è il miglioramento dei rapporti tra l’Unesco e il Comune, dopo l’incontro dello scorso 24 gennaio a Parigi, ma, ha dichiarato Bandarin, la decisione definitiva se confermare o escludere Venezia dalla lista sarà presa quest’estate nella 41ma sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale, in programma a Cracovia dal 2 al 12 luglio. In quell’occasione sarà valutata la congruità del documento congiunto Governo-Comune in merito ai rimedi proposti per le ben note criticità veneziane: le grandi navi, il moto ondoso, l’inquinamento, la residenzialità, la salvaguardia della laguna e il turismo. Per quest’ultimo punto si è proposto di fare di Venezia un caso studio.
Il Mose slitta al 2019
Intanto, sempre in tema di salvaguardia, il provveditore interregionale alle opere pubbliche del Veneto, Roberto Linetti, ha dichiarato che il sistema Mose sarà operativo solo nel 2019: un ennesimo slittamento per un’opera che avrebbe dovuto essere in funzione da almeno un decennio, in presenza di previsioni sempre più allarmanti, al limite della catastrofe, sull’innalzamento del livello del mare, a causa dell’aumento delle temperature. Un innalzamento che, secondo i calcoli più recenti, nel 2050 potrebbe oscillare tra un più 30 e un più 80 cm.
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