Restituire, con l’obiettività che la distanza di otto decenni può consentire, la giusta dimensione storica ai fatti accaduti tra il 1943 e il 1945 in una città, Verona, nell’occhio del ciclone tra fascismo e Resistenza, in piena Repubblica di Salò. Una restituzione che avviene in forma congiunta attraverso documenti storici e opere d’arte. È l’obiettivo della mostra «Fascismo Resistenza Libertà» allestita dal 14 marzo al 27 luglio nella sala Boggian del Museo di Castelvecchio di Verona, la stessa sala che subì pesanti bombardamenti, lo stesso edificio che ospitò il processo ai «traditori» di Mussolini, poi imprigionati nel tristemente famoso carcere politico degli Scalzi dove furono reclusi al loro fianco anche tanti antifascisti. La curatela è affidata a due storiche dell’arte, Francesca Rossi, direttrice dei Musei Civici cittadini, e Marta Nezzo, docente all’Università di Padova, e a due storici, Andrea Martini e Federico Melotto, direttore e presidente dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.
«Un’immersione nel passato, grazie alla tecnologia degli schermi di nuova progettazione in cui rivivono foto storiche, molte delle quali inedite», spiega Melotto. «Per attivare la riflessione su un periodo molto complesso e pieno di sfumature», aggiunge Martini. Emerge il ruolo fondamentale di musei, con il direttore Antonio Avena, e soprintendenza, diretta da Piero Gazzola, nella salvaguardia dei monumenti identitari della città, visibile sia attraverso una mappa dei luoghi storici coinvolti, ma anche da alcune delle opere sopravvissute ai danni della guerra grazie alla tutela attivata. «Tra le opere esposte figurano anche alcuni dei capolavori delle raccolte di Castelvecchio, come “Eliodoro e il sacerdote Onia” di Giambattista Tiepolo, la “Dama delle licnidi” di Peter Paul Rubens e un’“Allegoria della Speranza” di Alessandro Turchi, unica opera sopravvissuta di un ciclo di tele dell’artista», spiega Rossi. Sono esposte anche opere del periodo oggetto d’indagine, «con i ritratti di Ciano da collezioni private e lavori di veronesi come Pino Casarini, Guido Trentini, Mario Salazzari, Renato di Bosso con le aeropitture, racconta Nezzo. Si tratta di evocare il propagarsi di stili e iconografie nella stagione del consenso. Per i mesi di guerra, si ricordano il Premio Verona e la meditazione sul disagio, attraverso le nature morte o le vedute. Qui compaiono le firme Mario Mafai e Albano Vitturi. Infine un cenno ad autori che nel dopoguerra diedero forma artistica all’idea di resistenza e libertà: Guttuso, Birolli e Vedova».

Pieter Paul Rubens, «Dama dalle licnidi», 1602, Verona, Musei Civici-Museo di Castelvecchio

Emilio Vedova, «Trittico della libertà», 1950, Verona, Fondazione Cariverona. Foto © Luigi Baldin