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Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliChristof Metzger lo sottolinea: la mostra con la sua curatela, che l’Albertina dedica ad Albrecht Dürer dal 20 settembre al 6 gennaio, non è in alcun modo un remake della grande esposizione proposta dal museo viennese nel 2003, in occasione della riapertura dopo il radicale restauro della sede: «Allora il percorso era strettamente cronologico. Ora sono trascorsi 16 anni, sono stati compiuti nuovi studi, io stesso mi sono immerso nuovamente nella collezione. Anche se esponiamo sia dipinti che grafiche di primo piano, il fulcro che ho scelto è prevalentemente sui disegni e un ulteriore intento è quello di approfondire il dialogo fra i generi artistici in cui l’artista si produsse».
L’Albertina dispone della più vasta collezione al mondo di disegni di Dürer (140) e la nuova mostra ne espone 100, assieme a 25 grafiche, completando il percorso con altri 50 disegni e 12 dipinti provenienti dalle maggiori collezioni internazionali.
In mostra sono fogli dall’Apocalisse, dalla Grande Passione, dalla Vita della Vergine, studi per l’altare Heller, studi di animali, piante, e paesaggi, «L’Adorazione dei Magi» dagli Uffizi, «Il martirio dei Diecimila» dal Kunsthistorisches Museum, «Cristo dodicenne tra i dottori», dal Thyssen-Bornemisza di Madrid.
«Andiamo fieri del fatto che la nostra collezione è cristallina nella provenienza: risale in toto al XVI secolo, e dalle raccolte praghesi di Rodolfo II passò in quelle dell’arciduca Alberto di Sachsen-Teschen, fondatore dell’Albertina, nel 1796. Tuttavia non abbiamo opere della seconda metà degli anni Novanta del Quattrocento, per cui abbiamo integrato con prestiti», prosegue Metzger, che ha dedicato anni di studio all’approfondimento di tutti gli aspetti della collezione di casa, emendando errori nell’inventario e datazioni sbagliate.
In questo senso, ha fra l’altro riattribuito a Dürer e predatato ai primi anni Novanta del Quattrocento il gruppo di disegni su pergamena, che contengono anche l’iconico «Mazzo di violette»: «Si tratta di materiali approntati non tanto come esempi da replicare poi in altre opere, bensì come soggetti interessanti con cui confrontarsi e da elaborare nei minimi dettagli, per mostrare a potenziali acquirenti il talento e la maestria dell’esecuzione. Anche “Il Leprotto”, o “La grande zolla” non erano fogli destinati alla vendita e vennero trovati nella sua bottega, alla morte dell’artista. Vanno quindi considerati in questa luce, rimarca Metzger, laddove la sua capacità di osservazione e la precisione nella raffigurazione sono ineguagliabili. Basti pensare appunto alla giustamente celeberrima “Grande zolla”: si ha davvero la percezione di come Dürer abbia posto sul tavolo un pezzo di prato e poi ce ne abbia offerto la raffigurazione, quasi fossimo degli insetti che vi si avventurano». Data la fragilità delle opere esposte, la mostra non verrà presentata altrove.

«Ala di ghiandaia marina» (1500 ca) di Albrecht Dürer, Vienna, Albertina. © Albertina, Vienna