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Installation view della mostra «Meccanica» curata da Giorgio Verzotti. Cortesia di Viasaterna. Foto Carola Merello
Dopo la personale di Marion Baruch, di cui resta un’opera emozionante nell’atrio del palazzo di via Leopardi 32 dove si apre Viasaterna, la galleria milanese cambia totalmente registro e presenta, fino al 21 giugno, non una personale ma una collettiva, dedicata per di più a un’arte del tutto «Meccanica».
Curata da Giorgio Verzotti, la mostra riunisce otto artisti il cui lavoro è governato dalla serialità, dalla meccanicità, dall’algoritmo: da qualcosa, cioè, di estraneo, per non dire di opposto, alla creazione romantica, prometeica, frutto del «Genio creatore», che attraversa nei secoli la storia dell’arte e che nel ‘900 esplose dopo la Seconda guerra mondiale con l’Informale in Europa e l’Espressionismo Astratto negli Stati Uniti.
Non a caso la metà degli artisti in mostra (Dadamaino, Irma Blank, Niele Toroni, Sergio Lombardo) è nata tra il 1930 e il 1939 e ha esordito, polemicamente, proprio nei decenni dominati dal magma materico o dalla gestualità incontrollata di quelle correnti. Loro no: Dadamaino, esponente del gruppo Azimuth di Manzoni e Castellani, nei ’60 crea i suoi «Volumi a moduli sfasati» forando ritmicamente dei teli di plastica con una fustellatrice; Irma Blank genera i suoi «Radical Writing» con un’ossessiva, iterata scrittura non-verbale.
Quanto a Toroni, con le impronte di pennello n. 50 ripetute a distanza regolare, compie un gesto anche politico, rifiutando l’aspetto mercantile della pittura, e Lombardo, psicologo e artista, da parte sua persegue con il suo «eventualismo» un’«astinenza espressiva» e crea opere generate da un modello matematico stocastico, affidato al caso.

«Nobilis n°8» (2023) di Bertand Lavier © Bertrand Lavier, Adagp, Paris, 2024. Cortesia dell’artista e Mennour, Paris. Foto Archives Mennour.jpeg
Il francese Bertrand Lavier (1949) qui accoglie i visitatori con un grande dipinto che, come anche i successivi, scaturisce dal tessuto di una banale tovaglia, da lui trasformato in «arte alta». Tessuto, ma imbottito, anche per Giovanni Rizzoli (1963), che nei suoi volumi di sete damascate inietta colori a contrasto con delle flebo, lasciandole agire per un tempo più o meno lungo e intridendo più o meno ampiamente il tessuto e l’imbottitura. Diverso, ma ancora una volta demandato al caso, l’approccio di Daniele Innamorato (1969), che distribuisce il colore, dall’alto, su una tela e vi comprime un foglio di plastica.
Il risultato, autonomo dalla volontà dell’autore, si vedrà solo dopo aver sollevato il cellofan. L’artista più giovane in mostra è Camilla Gurgone (1997), che interagisce con l’Intelligenza artificiale per mettere in scena dei sogni, in una sintesi di macchina e inconscio. Alla radice di questo percorso, non certo esaustivo ma significativo, la domanda sull’anti-autorialità, sempre più urgente in un’epoca in cui la creatività è progressivamente affidata a una macchina definita «intelligente».