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Roberta Bosco
Leggi i suoi articoli«Che cosa significa essere radicali nella pratica artistica contemporanea? Per rispondere a questo interrogativo abbiamo deciso di occuparci di autori fondamentali per lo sviluppo di una nuova forma di pensare il mondo, che sono sconosciuti al grande pubblico. Autori ineludibili nel loro contesto specifico, ma che non rientrano nell’immaginario globale»: con queste parole Valentín Roma, teorico, scrittore, curatore e direttore de La Virreina Centre de la Imatge di Barcellona, ha presentato le importanti mostre dedicate al drammaturgo e ricercatore teatrale Eugenio Barba (Brindisi, 1936), fondatore della compagnia norvegese-danese Odin Teatret, formata con giovani respinti dalle scuole di teatro ufficiali, e all’artista, cantante e compositrice Cathy Berberian (Massachusetts, 1925-Roma, 1983).
Coprodotta con il Polo Biblio-Museale della Puglia, la mostra «Eugenio Barba/Odin Teatret. Autopenetración», curata dal drammaturgo Roger Bernat, è la prima presentazione in un museo di questa esperienza chiave per comprendere le relazioni tra le scene teatrali di America Latina, Europa e Nord America alla fine della Guerra Fredda. Oltre alla creazione dell’Odin Teatret nel 1964 e nel 1979, della Scuola Internazionale di Antropologia Teatrale, a Barba si deve l’emblematico testo Terzo Teatro, che si oppone al primo, istituzionale, e al secondo, di ricerca, con una moltitudine di gruppi che negli anni Settanta operavano lontano dalle capitali e ai margini delle accademie e dei movimenti d’avanguardia. «Si tratta di gruppi non gerarchici che rivendicano la creazione collettiva e gli spazi sperimentali basati sul dissenso e sull’utopia», afferma Roma, sottolineando che il Terzo Teatro non fa riferimento a culture inaccessibili, astoriche o apolitiche, ma definisce pratiche contemporanee di compagnie teatrali latinoamericane ed europee, che si ribellano alla cultura di massa.
Sebbene la compagnia sia ancora attiva, la mostra ripercorre la sua attività tra il 1971 e il 1979. «In questi otto anni Eugenio Barba e l’Odin Teatret, non senza polemiche, sviluppano pratiche artistiche dissidenti che li portano ad appropriarsi delle piazze di mezzo mondo», continua Roma. Il gruppo, che si muove sia al di fuori delle istituzioni sia delle avanguardie, si concentra sulla ricerca delle proprie radici, sul funzionamento interno del corpo e sulle culture di aree geograficamente remote. «Se vieni all’Odin per fare teatro, vattene; se vieni per formar parte di un gruppo, resta», disse Eugenio Barba nel 1975 a Toni Cots, membro catalano dell’Odin, che parteciperà ad una delle due performance che completano la mostra. «Il lavoro di Barba e di Grotowski, il suo maestro, sono fondamentali per l’arte della seconda metà del ’900 e hanno influenzato specialmente l’Arte Povera e la svolta performativa dell’arte visiva», conclude Roma, ricordando che la Biennale di Venezia fu una delle rare istituzioni permeabili alla sua poetica.

«Ayacucho, Peru, 1978», Odin Teatret Archives. Foto: Tony D’Urso
Simultaneamente, in occasione del centenario della nascita di Cathy Berberian, la Virreina presenta «Stripsody», un’opera unica che unisce immagine, performance e sperimentazione vocale basata sull’uso di onomatopee ispirate all’iconografia e al linguaggio dei fumetti. Con la complicità dell’amico Umberto Eco, che la chiamava MagnifiCathy, Berberian unisce creazione visiva, performance e sperimentazione attraverso le parole. «In mostra dischi, spartiti, fotografie, pubblicazioni e altri materiali, che ripercorrono la storia di una delle creatrici vocali più rivoluzionarie e inclassificabili del XX secolo», afferma Roma. Indagando la genealogia di «Stripsody», si spiega il ruolo avuto nella sua creazione da personaggi come Eco, il pittore Eugenio Carmi o l’illustratore Roberto Zamarin, autore del logotipo del gruppo extraparlamentare Lotta Continua e di vignette satiriche operaiste. «Performer, artista visiva, mezzosoprano, compositrice e figura imprescindibile della musica e della performance sperimentale negli anni Sessanta e Settanta, Berberian si sposò con il compositore Luciano Berio e, anche se il matrimonio fu breve, il loro sodalizio durò per tutta la vita», racconta Roma, ricordando la sua breve ma brillante carriera che spaziò dal repertorio barocco alla sperimentazione elettroacustica, passando per il jazz, il folk e memorabili versioni dei Beatles sotto forma di arie. Morì la sera prima di cantare una sua versione dell’Internazionale, «nello stile di Marilyn Monroe», in un programma della Rai per commemorare il centenario della morte di Karl Marx.
Entrambe le mostre sono visitabili dal 12 aprile al 28 agosto.

Odin Teatret Archives. Foto: Roald Pay