Nell’ottobre del 2017 Building inaugurava i suoi spazi a Milano con una personale di Remo Salvadori. A sette anni da allora, l’artista (Cerreto Guidi, 1947) torna dal 24 ottobre al 7 gennaio 2025 in quegli stessi spazi con una nuova mostra, che ne occupa tutti e tre i piani. Le opere sono state pensate come gesti benefici sul «corpo» della galleria («interventi di agopuntura» li definisce), da lui intesa come un organismo vivente. Ad annunciarne la presenza sin dall’esterno è un suo importante lavoro site specific del ciclo «Nel momento» (2024), formato da nove elementi in stagno, che s’inscrive in un percorso ormai storico, inaugurato nel 1974: composte sulla facciata dell’edificio che ospita la galleria, le nove formelle entrano in dialogo e in risonanza con la convulsa realtà urbana del centro di Milano. I fogli, in questo caso di stagno (metallo che alchemicamente si riconnette al pianeta Giove: uno dei sette «metalli puri» usati nei processi alchemici), vengono ritagliati e ripiegati più e più volte da Salvadori in forme sempre diverse, tutte governate però da rigorosi rapporti numerici e armonici, frutto di una forma mentale che certo gli deriva dall’essere nato e cresciuto nel grembo della più alta tradizione artistica e filosofica rinascimentale toscana. Tanto che per lui l’esperienza artistica «è un percorso da fare con mente, cuore e membra, in direzione di un desiderio di consapevolezza, quasi fosse un’ascensione».
Tutte le opere sono state realizzate per la mostra: tra le altre, un lavoro dello storico ciclo «L’osservatore non l’oggetto osservato», ideato nel 1981, e altri di cicli più recenti, come «Non si volta chi a stella è fisso», 2013 (citazione e omaggio a Leonardo da Vinci), una composizione di marmo a forma di stella, o «Tazze nel momento», 2007, opera in cui una delle sue forme «stellate» in argento è circondata da sagome di tazze ritagliate nel rame, ricoperte di carta e tinte di un blu profondo, disposte sulla parete secondo precise traiettorie che dilatano illusoriamente lo spazio. Perché le tazze? Perché «per me, spiega l’artista, la tazza è la possibilità di passare da uno stadio illusorio bidimensionale a uno stato reale, a più dimensioni». Esponente di primo piano della generazione successiva a quella dell’Arte Povera, Salvadori si muove infatti lungo itinerari diversi seppure coesi e interrelati, interagendo con lo spazio interno o esterno in cui le sue opere vivono, e stimolando così reciproche risonanze.