Si intitola «In dialogo con il Benin: arte, colonialismo, restituzione» la mostra allestita nel Museo Rietberg di Zurigo dal 23 agosto al 16 febbraio 2025 e a cura di Josephine Ebiuwa Abbe, Michaela Oberhofer, Esther Tisa Francini e Solange Mbanefo. La rassegna si svolge nell’ambito dell’Iniziativa Benin Svizzera, lanciata nel 2020 e sostenuta dall’Ufficio Federale della Cultura. Guidati da Michaela Oberhofer ed Esther Tisa Francini del Museo Rietberg, otto musei elvetici stanno infatti esaminando, con l’aiuto di studiosi nigeriani ed esponenti della diaspora panafricana in Svizzera, gli oggetti del Benin presenti nelle proprie collezioni, affrontando temi come l’ingiustizia coloniale e la restituzione, il patrimonio culturale e l’identità.
«Ho un legame personale con questi oggetti, che hanno avuto un’influenza sulla mia arte e sulla mia creatività», afferma l’artista e mediatore culturale Samson Ogiamen. «Per me, toccare questi oggetti è una cosa più spirituale che fisica: essi rappresentano la nostra storia e la nostra anima», ribadisce l’artista e storico dell’arte Patrick Oronsaye. Si tratta di temi fondamentali soprattutto per un museo come il Rietberg, che ospita oltre 32.500 oggetti (e 49mila foto) relativi alle arti tradizionali e contemporanee dei continenti extraeuropei. «Con questa mostra il museo fa un passo importante nella gestione delle collezioni in collaborazione con le società di origine, con l’obiettivo di rielaborare insieme le storie del patrimonio culturale e cercare soluzioni per il futuro di entrambe le parti», affermano le curatrici.
L’annus horribilis della storia del Benin fu il 1897, quando l’esercito britannico conquistò il regno, distruggendo il Palazzo reale ed esiliando il re (oba) Ovonramwen. Migliaia di manufatti pregiati finirono sul mercato andando ad arricchire musei europei come lo stesso Rietberg, che attraverso la mostra riconosce le ingiustizie commesse. Il museo ha anche commissionato nuove opere, realizzate nei laboratori dei fonditori di bronzo a Benin City. Inoltre, artisti contemporanei come Cherry-Ann Morgan e Kwaku Opoku si sono confrontati con temi quali la schiavitù e il patrimonio culturale, la memoria e la guarigione.
L’allestimento è stato concepito dalla progettista svizzero-nigeriana Solange Mbanefo, che ispirandosi a forme geometriche e figure del Benin ha reso omaggio ai cortili inondati di luce del Palazzo reale e utilizzato per le opere storiche il rosso corallo simbolo della regalità, per quelle contemporanee il verde-azzurro, colore del dio del mare Olokun, rendendo omaggio ai rapporti commerciali intessuti tra Benin e Portogallo a partire dal Quattrocento e all’importanza dei porti fluviali del regno.
«Fin dall’inizio la prospettiva multipla è stata un punto centrale della mostra e secondo me anche un’opportunità per portare avanti il processo di decolonizzazione», afferma Mbanefo. Ad accogliere i visitatori è la fotografia di Omoregie Osakpolor che ritrae Igun Street, a Benin City, sede delle corporazioni dei fonditori e centro artistico d’eccellenza. Un film prodotto in Nigeria presenta i traumatici eventi del 1897, per i quali una nuova scultura in ottone e i canti funebri di Josephine Ebiuwa Abbe esprimono l’incessante dolore.
Il nucleo centrale della mostra, dedicato alla storia e all’artigianato del Benin, si suddivide in quattro isole tematiche: «Memoria e architettura», «Commemorazione e rituale», «Prestigio e performance» e «Produzione artistica passata e presente». L’area esterna della mostra ripercorre infine la storia degli oggetti, dalla loro creazione all’attuale collocazione in Europa. Mappe e documenti ne illustrano gli spostamenti, mettendo in evidenza anche il background dei collezionisti e la vexata quaestio delle restituzioni.