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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliPur non avendo mai lasciato gli Stati Uniti, Joseph Cornell nutriva un’intima fascinazione per Parigi, dove «viaggiava» a modo suo, così come scopriva il resto del mondo, attraverso cartoline, riviste, guide, libri, immagini di giornali e tramite amicizie, come quella trentennale con Marcel Duchamp. La monografica, la prima in Francia da una quarantina d’anni, che gli dedica la galleria di Gagosian nella Ville Lumière, più che una mostra in senso proprio, è un’esperienza spaziale oltre che visiva: sotto la regia del cineasta Wes Anderson, noto per la cura scenografica dei suoi film, in dialogo con il curatore Jasper Sharp, gli spazi della rue de Castiglione, nel cuore cittadino, si trasformano in una grande «shadow box», un’installazione-scatola in tre dimensioni, che invita il visitatore non solo a guardare, ma anche ad «entrare» nell’universo di Cornell (1903-1972), scultore statunitense, pioniere dell’assemblaggio e del cinema sperimentale. Sebbene non abbia mai ufficialmente aderito a nessun movimento artistico e non abbia mai frequentato gli ambienti surrealisti del suo tempo, Cornell è ritenuto il maggiore rappresentante americano del movimento.
Joseph Cornell, «Untitled (Medici Series, Pinturicchio Boy)», c. 1950. © 2025 The Joseph and Robert Cornell Memorial Foundation/Licensed by VAGA at Artists Rights Society (ARS), New York. Photo Owen Conway. Courtesy of Gagosian
Joseph Cornell, «Pharmacy», 1943. © 2025 The Joseph and Robert Cornell Memorial Foundation/Licensed by VAGA at Artists Rights Society (ARS), New York. Photo Dominique Uldry. Courtesy of Gagosian
La mostra «The House on Utopia Parkway: Joseph Cornell’s Studio Reimagined by Wes Anderson» (dal 16 dicembre al 14 marzo) ricostituisce, in scala reale, l’atelier newyorkese dell’artista che si trovava nel seminterrato della casa di famiglia nel Queens, dove viveva con la madre e il fratello. Uno spazio pieno di scaffali e colonne di scatole di scarpe, dei mondi in miniatura, zeppi di oggetti di ogni tipo, giocattoli, conchiglie, stampe, piume, carte, mappe, che acquistava negli antiquari, nelle librerie dell’usato e nei bazar di Manhattan, inesauribile materiale creativo per le sue opere, collage e «box», concepite come archivi della memoria, che ispirarono tanti artisti dopo di lui, da Robert Rauschenberg a Carolee Schneemann e Andy Warhol.
Per restituire l’ambiente di lavoro Anderson e Sharp (che hanno più volte collaborato) hanno consultato enormi quantità di fotografie e documenti d’archivio, fiumi di appunti e diari scritti dallo stesso Cornell, che annotava tutte le sue impressioni. La galleria allestisce diverse «shadow box», tra cui «Pharmacy» (1943), una scatola-armadietto ispirata a un vecchio mobile di farmacia, un tempo di proprietà di Teeny e Marcel Duchamp, «Blériot II» (1956 circa), dedicata all’ingegnere francese Louis Blériot, pioniere dell’aviazione, e «Untitled (Pinturicchio Boy)» (1946), un’opera dell’emblematica serie «Medici Slot Machine», su cui Joseph Cornell lavorò per una decina di anni: una teca in cui l’artista combina una riproduzione di un’opera rinascimentale, il «Ritratto di un ragazzo» di Bernardino Pinturicchio (del 1480-82 circa), con frammenti di immagini prese da guide turistiche e giocattoli in legno. Il Smithsonian American Art Museum di Washington ha prestato inoltre alcune scatole non finite, che offrono un raro sguardo sul modo di lavorare di Cornell.