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Duccio, «Trittico con Crocifissione e altre scene», 1302-08 ca

Royal Collection Trust / © His Majesty King Charles III 2024

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Duccio, «Trittico con Crocifissione e altre scene», 1302-08 ca

Royal Collection Trust / © His Majesty King Charles III 2024

L’Officina senese riunita alla National Gallery

Dopo la tappa a New York giunge a Londra la mostra che illustra il ruolo di Siena nello sviluppo della pittura europea: oltre 100 opere, compresi polittici di Duccio, Simone Martini e dei fratelli Lorenzetti, appositamente ricomposti

Dopo la presentazione nel Metropolitan Museum of Art di New York, dall’8 marzo al 22 giugno la mostra «Siena: la nascita della pittura 1300-1350» si trasferisce nella National Gallery di Londra. Organizzata dai due musei e curata da un gotha di studiosi coordinati da Caroline Campbell, direttrice della National Gallery of Ireland, è forse la più rilevante delle celebrazioni del bicentenario della National Gallery perché basata proprio sulle opere primigenie che, fra donazioni (16 dipinti da Sir George H. Beaumont, 1753-1827) e acquisizioni alla corona inglese (la raccolta del connoisseur e collezionista banchiere anglorusso John-Julius Angerstein, 1735-1823, promossa da George Agar-Ellis MP, 1797-1833), segnarono nel 1824 la nascita della Galleria. 

L’attenzione si punta su Siena all’inizio del Trecento: un momento d’oro per l’arte italiana dove Duccio di Buoninsegna, Simone Martini e Pietro e Ambrogio Lorenzetti (in quella che, parafrasando Roberto Longhi, potrebbe dirsi l’«Officina senese»), sono motori dell’invenzione di una «nuova pittura» che unisce all’innovazione stilistica la sperimentazione in inedite tipologie mediali: dalle pale d’altare a più livelli e di inedite dimensioni fino, agli antipodi, a nuovi strumenti di devozione privata portatili. Elaborando l’eredità di Cimabue e coniugandola alle influenze della Bisanzio rinnovata dagli imperatori Paleologhi, esotica ma non remota, la Scuola senese dà alla pittura una drammaticità ancora ignota e inusitata, ai volti emozioni, ai corpi mobilità nello spazio, alle vicende dipinte luminosità e vibrazioni cromatiche inaspettate ed evoluzioni temporali che si susseguono in pannelli affiancati. Dipinti preziosi, molti a fondo oro, scandiscono i momenti di questa stagione senese che, saliente dell’arte nella prima metà del Trecento, esporta la sua rivoluzione a tutt’Italia e da lì a Francia, Inghilterra e perfino Boemia. La mostra riunisce (per la prima volta nella memoria vivente) oltre 100 dipinti degli artisti attivi a Siena nel Trecento con il coup de théâtre di esemplari ricomposizioni di pale e polittici smembrati da secoli e sparsi in tutto il mondo. 

Il pannello raffigurante «L’Annunciazione» dalla pala d’altare «Maestà» di Duccio di Buoninsegna, 1308-11. © The National Gallery, London

Fra le più spettacolari brilla la monumentale «Maestà» del Duomo di Siena (1308-11) di Duccio di Buoninsegna: è la prima pala d’altare con predella a due facce fronte-retro nell’arte italiana e il primo grande retablo a doppia faccia nella pittura occidentale. Quest’opera così complessa e variegata, abbagliante nella sua sfaccettata luminosità, già di accennata spazialità tridimensionale a riprendere le innovazioni di Cimabue e Giotto, non solo fonde gli elementi di matrice fiorentina al realismo figurativo proprio di Duccio, impreziosito dalla sua ansiosa cura per il particolare, ma catalizza in sé l’evoluzione della narrativa pittorica nel Trecento italiano facendone l’archetipo. Andata purtroppo dissennatamente smembrata in varie vendite e musealizzazioni dalla metà del XVIII secolo, la «Maestà» è riunita ai molti dipinti comprimari che narrano episodi della vita di Cristo, da «Cristo e la Samaritana» (Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid) a «La chiamata degli Apostoli Pietro e Andrea» (National Gallery of Art, Washington). Accanto, due trittici di Duccio: «La Crocifissione»; «Il Redentore con Angeli»; «San Nicola e san Clemente» (1311-18, Museum of Fine Arts, Boston) e «La Madonna e il Bambino con san Domenico, santa Aurea, patriarchi e profeti» (1312-15, National Gallery, Londra) che, per le decorazioni correlate sulle ali esterne, furono verosimilmente concepiti come coppia per una committenza individuale, forse l’influente cardinale Niccolò da Prato. 

Altra illustre ricomposizione è quella del Polittico Orsini di Avignone di Simone Martini (1284-1344). Piccolo retablo pieghevole «da viaggio» (1333-37) fu dipinto per la devozione privata del cardinale Napoleone Orsini, onnipotente alla corte papale di Avignone. Composto di scomparti dipinti recto e verso su sei pannelli («Cristo Portacroce», «Crocefissione», «Deposizione dalla Croce» e «Seppellimento», raffigurati sul fronte del polittico, e «L’Arcangelo Gabriele» e la «Vergine dell’Annunciazione», dipinti sul retro e nell’Ottocento segati nello spessore), l’«altarolo» presentava, aperto: da un lato i quattro pannelli con le scene della Passione di Cristo, dall’altro, le figure dell’Annunciazione. Viceversa, chiuso a fisarmonica, mostrava il Cristo Portacroce e la Sepoltura (ambedue recanti lo scudo Orsini). L’opera, che tanto ha influenzato la pittura tardogotica francese e le celebri miniature del «Libro d’Ore del Duca de Berry» di Pol de Limbourg, è oggi suddivisa fra il Louvre di Parigi, il Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa e la Gemäldegalerie di Berlino. I sei pannelli furono tutti conservati nella Chartreuse de Champmol a Digione fino alla sua distruzione nel 1791 nei disordini della Rivoluzione Francese. Il «Polittichetto» Orsini finì più tardi in proprietà di un tale M.L. Saint-Denis, sempre a Digione, che nel 1826 vendette i quattro pannelli oggi ad Anversa («Crocefissione» e «Deposizione», e le due scene dell’«Annunciazione») al banchiere e collezionista Florent van Ertborn (1784-1840) che alla morte li lasciò al museo di Anversa, e nel 1834 il «Cristo Portacroce» al re dei francesi Luigi-Filippo che nel 1836 lo donò al Louvre. Purtroppo, poco si sa invece dell’anta di destra, il «Seppellimento [di Cristo]» se non che fu acquistata dalla Gemäldegalerie nel 1901 alla dispersione della raccolta del mercante francese Émile Pacully (1864-1938), con probabile stessa origine dalla raccolta Saint-Denis. 

Grandi comprimari in mostra gli altri due maggiori artisti senesi del periodo: Pietro Lorenzetti (1285-1348?) e suo fratello Ambrogio (1290-1348), le cui opere sono altrettanto identificative di suprema sicurezza tecnica nel tratto pittorico e audacia d’innovazione nella comunicazione emotiva. Ulteriore merito della mostra è indicare anche l’impatto della Scuola senese altrove in Italia e Oltralpe sulle arti applicate (gioielli, avori, smalti, miniature e manoscritti, sete e tappeti) e sui loro materiali (metalli preziosi, smalti, vetro dorato, legno, marmo, pietre dure, manoscritti miniati).

Simone Martini, «La Madonna col Bambino», 1326-27 ca, New York, The Metropolitan Museum of Art, Robert Lehman Collection

Ambrogio Lorenzetti, «Madonna del Latte», 1325 ca, Siena, Museo Diocesano. © Arcidiocesi di Siena - Colle di Val d’Elsa - Montalcino. © Foto: Studio Lensini Siena

Giovanni Pellinghelli del Monticello, 08 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

L’Officina senese riunita alla National Gallery | Giovanni Pellinghelli del Monticello

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