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Chiharu Shiota, «Accumulation-Searching for the Destination», 2014-25, Torino, Mao-Museo Arte Orientale, 2025

Foto Giorgio Perottino. Courtesy of Mao Museo d’Arte Orientale

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Chiharu Shiota, «Accumulation-Searching for the Destination», 2014-25, Torino, Mao-Museo Arte Orientale, 2025

Foto Giorgio Perottino. Courtesy of Mao Museo d’Arte Orientale

La sottile linea rossa di Chiharu Shiota secondo Bartolomeo Pietromarchi

La mostra dell’artista giapponese al Mao di Torino «è un’esperienza non solo visiva ma fisica e mentale: si è costretti a ridefinire continuamente la propria posizione nello spazio, a cercare uno sguardo, un varco, un punto di equilibrio»

Bartolomeo Pietromarchi

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È un’intuizione felice quella del direttore Davide Quadrio di portare al Mao-Museo Arte Orientale di Torino la grande retrospettiva di Chiharu Shiota, «The Soul Trembles»: una mostra che sta attraversando il mondo con una scia di successo, dal Grand Palais di Parigi al Busan Museum of Art, dal Long Museum West Bund di Shanghai e allo Shenzhen Art Museum. Il progetto, a cura di Mami Kataoka (direttrice del Mori Art Museum di Tokyo), arriva in Italia in una versione ripensata per gli spazi del Mao da Quadrio stesso con la collaborazione di Anna Musini e Francesca Filisetti.

L’allestimento, fin dall’ingresso, cattura per la sua forza silenziosa ma subito intensa e straniante. Dalle finestre di «Inside/Outside» che ci circondano nel cortile alle celebri barche di «Uncertain Journey» da cui fuoriesce l’esplosione di fili rossi, sino alla grande installazione di valigie sospese che sale verso l’alto di «Accumulation-Searching for the Destination» e la celebre «Where are we going», l’impatto scenografico è assicurato. Dalle sale al piano terra le opere si diramano poi in tutto l’edificio, insinuandosi tra le collezioni permanenti del Mao con discrezione e intensità, creando un dialogo continuo. È una mostra che non si visita, si attraversa. Ed è sempre un gran piacere riscoprire e rivedere le belle collezioni del museo alla luce anche delle risonanze con l’opera dell’artista giapponese.

Shiota, nata a Osaka nel 1972 e trasferitasi a Berlino alla fine degli anni Novanta, lavora da sempre sul confine tra autobiografia e universalità. Celebre per il Padiglione del Giappone alla Biennale di Venezia del 2015, quando la sua installazione con 180mila chiavi sospese rischiò letteralmente di far collassare la struttura per il peso, l’artista trasforma esperienze intime e fisiche. Basato sull’accumulo, sulla proliferazione e sulla stratificazione, il suo linguaggio nasce da esperienze autobiografiche e si apre a riflessioni universali sui cicli della vita e della morte, sul corpo come luogo di memoria e trasformazione.

Non vi è nulla di folklorico, né alcuna cifra riconducibile a un’estetica «giapponese»: la sua origine culturale resta una presenza sotterranea, un’eco interiore più che un segno visibile. È piuttosto il tema del viaggio, dei luoghi di arrivo e di partenza, della dislocazione e del continuo riposizionamento di sé nello spazio e nella memoria, a costituire la trama profonda della sua ricerca.

Le installazioni ambientali, costituite da migliaia di fili tesi e intrecciati nello spazio, sono ambienti espressivi e gestuali. Chi vi entra si trova avvolto da un segno tridimensionale, da una materia che è insieme disegno, rete, respiro.

L’esperienza non è solo visiva ma fisica e mentale: si è costretti a ridefinire continuamente la propria posizione nello spazio, a cercare uno sguardo, un varco, un punto di equilibrio. È come entrare dentro un segno che si fa materia, una visualizzazione concreta del tempo e dello spazio, un flusso che trasforma il vuoto in presenza. In questo senso, ogni installazione di Shiota è una performance sospesa nel tempo, un gesto dilatato che continua a vibrare anche in assenza del corpo dell’artista.

Non è un caso che Shiota nasca artisticamente proprio come performer. Formatasi sotto la guida di Marina Abramović, trova nella performance il suo primo linguaggio. Nelle opere degli anni Novanta si avverte la risonanza delle azioni di Valie Export, Gina Pane, Yoko Ono, Rebecca Horn e dell’Azionismo viennese: ferite, resistenze, esposizione. Con il tempo, questa radice si trasforma, ma resta come una tensione interna: le sue grandi installazioni sono, di fatto, azioni nello spazio, gesti che si dilatano nel tempo, palcoscenici vuoti dove l’emozione si fa ambiente. E non sorprende che molte delle sue opere siano poi approdate anche come scenografie teatrali, animate da attori e danzatori che ne attraversano la trama.

La scelta di Quadrio di far dialogare la mostra con la collezione del Mao è particolarmente felice. Proprio perché priva di stilemi riconducibili a una tradizione precisa, l’opera di Shiota può muoversi liberamente tra le sale del museo, intrecciando temi, gesti e simbologie con le opere asiatiche antiche.

È un confronto sottile e potente tra ritualità e spiritualità, tra il visibile e l’invisibile, la vita e il suo doppio. Una su tutte è, come esempio emblematico, la corrispondenza stabilita con la straordinaria immagine dipinta su tela di cotone della thangka tibetana raffigurante Na-ro mkha’-spyod-ma, la «dea del cielo» di colore rosso, una delle forme di Vajravarahi. Divinità della conoscenza che trascende l’esperienza fenomenica, Na-ro mkha’-spyod-ma schiaccia sotto i piedi le divinità Bhairava e Kalaratri, brandisce il coltello rituale (kartrika) e solleva il kapala da cui beve il sangue della vita. Attorno a lei danzano due scheletri: i Signori dei Cimiteri, compagni di Yama nelle danze rituali tibetane. In questa compresenza di vita, morte, spiritualità e ritualità, le opere della Shiota stabiliscono una relazione al di là del tempo e del luogo tra l’arte del corpo e quella dello spirito, tra Oriente e Occidente: un’arte che non illustra ma evoca, non rappresenta ma trasforma, e ci ricorda, ogni volta, che anche noi siamo in equilibrio su quella sottile linea rossa che tiene insieme tutte le cose.

Bartolomeo Pietromarchi, 21 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

La sottile linea rossa di Chiharu Shiota secondo Bartolomeo Pietromarchi | Bartolomeo Pietromarchi

La sottile linea rossa di Chiharu Shiota secondo Bartolomeo Pietromarchi | Bartolomeo Pietromarchi