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Gaspare Melchiorri
Leggi i suoi articoliLa mostra «Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone», aperta al pubblico al Museo d’Arte Orientale (Mao) di Torino fino al 7 settembre, offre una singolare esplorazione della cultura materiale giapponese attraverso circa 50 tra haori e juban (rispettivamente le giacche sovrakimono e le vesti sottokimono maschili), nonché alcuni abiti tradizionali da bambino, provenienti dalla collezione Manavello, in dialogo con installazioni di artisti contemporanei.
Il progetto espositivo si avvale della consulenza curatoriale di Silvia Vesco (docente di Storia dell’Arte Giapponese presso l’Università Ca' Foscari di Venezia), Lydia Manavello, You Mi (curatrice indipendente e attualmente docente di Arte ed Economia all’Università di Kassel), in collaborazione con il direttore del Mao, Davide Quadrio, e la curatrice Anna Musini, e con l’assistenza di Francesca Corrias.
Svelare senza esibire, suggerire senza palesare. A questo principio si ispira la millenaria cultura giapponese che, sull’equilibrio in perenne divenire fra pieni e vuoti e sul senso dell’armonia, tesse ancor oggi la propria esistenza. L’abbigliamento concorre a definire ruoli e spazi in cui si muove la complessa società nipponica; in questo contesto grande interesse ha sempre destato il kimono femminile, mentre l’ambito degli indumenti maschili è stato ancora poco indagato.
Meno appariscenti ma assai interessanti, le vesti da uomo costituiscono, in realtà, una parte consistente del ricco apparato tessile giapponese. Nell’eleganza austera del completo cerimoniale o nella sobrietà di un abito da vivere tutti i giorni, i kimono da uomo racchiudono e definiscono un universo che si rende accessibile solo nel contesto domestico o nel segreto di un incontro amoroso.
Tradizionalmente considerati espressione dell’intimità quotidiana, gli haori e le juban presentati in mostra assumono un nuovo significato e diventano un’occasione per affrontare temi di grande attualità, fra cui le questioni legate all’espansione giapponese del XX secolo in Asia e alle implicazioni politiche e sociali che ne caratterizzarono il contesto storico.
All’interno del percorso espositivo alcune opere di artisti contemporanei sono utilizzate come strumenti di analisi e riflessione, affinché il pubblico possa orientarsi in un’epoca storica, ancora poco conosciuta in Italia, di relazioni complesse tra Giappone, Cina e Corea.
Fra i lavori all’interno del percorso espositivo il video «A Needle Woman» e le sculture «Bottari» di Kimsooja (Taegu, Corea, 1957), che indagano il rapporto tra individuo e società, con particolare attenzione all’idea di ibridismo culturale e linguistico, ponendo l’accento su come il nomadismo e la migrazione plasmino l’identità personale e collettiva; la grande installazione «Kotatsu (J. Stempel)» di Tobias Rehberger (Esslingen, Germania, 1966) che, unendo due tradizioni agli antipodi come quella giapponese e quella tedesca, affronta il tema della morte e della trasformazione. Infine il video «Kishi the Vampire» di Royce Ng (Hong Kong, 1983), che riscrive la storia di Kishi Nobusuke (primo ministro giapponese dal 1957 al 1960) come una storia di vampiri, utilizzando questo personaggio storico per proporre una rilettura fantastica dell’economia politica tra Giappone, Corea e Cina del XX secolo.
A giugno 2025 sarà presentato il catalogo della mostra in lingua italiana e inglese, con saggi critici inediti e un ampio apparato iconografico, edito da Silvana Editoriale. Come di consueto, tutti i contenuti della mostra saranno disponibili in Lis (Lingua italiana dei segni) all’interno del percorso espositivo grazie alla collaborazione con l’Istituto dei Sordi di Torino.