Cammello in ceramica dalla tomba di Liu Tingxum, Cina, 728 d.C., dinastia Tang

© The Trustees of the British Museum

Image

Cammello in ceramica dalla tomba di Liu Tingxum, Cina, 728 d.C., dinastia Tang

© The Trustees of the British Museum

Le Vie della Seta passano dal British (per 5 mesi)

Nella mostra londinese le curatrici Luk Yu-Ping e Sue Brunning illustrano l’intricato mondo che univa Asia ed Europa tra il 500 e il 1000 d.C.

È dedicata al crogiolo di popoli e culture che già nell’Alto Medioevo verteva sulla complessa rete di collegamenti tra Oriente e Occidente la grande mostra autunnale del British Museum. Caratterizzata da un innovativo approccio multicuratoriale che nell’ambito dello staff del British ha visto collaborare in modo paritario Luk Yu-Ping, Sue Brunning ed Elisabeth R. O’Connell, la mostra «Silk Roads», allestita dal 26 settembre al 23 febbraio 2025, presenta oltre 300 oggetti provenienti da ben 29 istituzioni museali internazionali. Abbiamo intervistato Luk Yu-Ping, curatore al British Museum della collezione Basil Gray di dipinti cinesi, stampe e collezioni dell’Asia centrale, e Sue Brunning, cui pertengono le collezioni europee del primo Medioevo e quelle relative al sito di archeologia medievale di Sutton Hoo. 

La mostra evidenzia come nome e concetto di «Via della Seta» siano ottocenteschi. Ma prima come veniva considerata e chiamata questa rete di percorsi?
L’espressione «Via della Seta» non era usata dai viaggiatori che nell’antichità e nel Medioevo percorrevano questo supposto percorso. Qualche antico viaggiatore ha documentato tracciati che aveva realmente attraversato o di cui aveva sentito parlare, ma non esisteva un termine generico riferibile all’ampia rete oggi conosciuta. L’espressione «Via della Seta» venne infatti coniata nel XIX secolo e si diffuse nel XX, quando si impose una visione romantica e romanzata dei traffici tra Oriente e Occidente. Oggi rimane un concetto affascinante, che richiama alla mente carovane di cammelli, deserti, sete, spezie e avventure in terre esotiche. Sebbene si tratti di un concetto moderno, contiene però un pizzico di verità. In passato avvenivano scambi tra Asia ed Europa che riguardavano seta, spezie e cammelli, ma le ricerche hanno rivelato un mondo più ricco e intricatamente connesso, dagli orizzonti sempre più vasti. Questo mondo espanso è il fulcro della mostra. Il titolo al plurale, «Silk Roads», allude alla complessità di queste reti, i cui scambi hanno contribuito a plasmare storie e culture in Asia, Africa ed Europa.

Il vostro progetto affronta un periodo molto preciso e remoto, compreso tra 500 e 1000 d.C. Perché questa scelta?
La storia di «Silk Roads» sprofonda nel passato per giungere ai nostri giorni. Naturalmente era difficile coprire in mostra un arco temporale così vasto, quindi abbiamo deciso di concentrarci su questo periodo innanzitutto perché ci consente di apportare qualcosa di nuovo all’immagine popolare delle Vie della Seta, dato che riguarda secoli precedenti al viaggio di Marco Polo, che molti associano all’argomento. Fatto ancora più importante, si tratta di un periodo determinante, che ha assistito all’ascesa e alle attività transcontinentali di grandi potenze politiche come la dinastia Tang in Cina, i califfati islamici nei paesi arabi, l’Impero bizantino nel Mediterraneo e l’Impero carolingio in Europa occidentale. Ha anche visto la diffusione di grandi religioni come Buddhismo, Islam e Cristianesimo, nonché migrazioni di popoli su larga scala. È stato anche l’ultimo momento prima che le Americhe entrassero nell’orbita dell’Afro-Eurasia, dato che i Vichinghi scandinavi arrivarono a Terranova intorno all’anno 1000, facendo entrare il mondo in una fase successiva.

La mostra è strutturata in 5 sezioni tematico-geografiche. Quali sono e quali sono i reperti più significativi esposti?
La struttura geografica accompagna i visitatori nel loro viaggio personale lungo le Vie della Seta, in un lungo percorso dal Giappone alla Gran Bretagna in cui alcune deviazioni sottolineano la natura multidirezionale di questa rete di tracciati. La prima sezione esplora l’Asia estremo orientale attraverso le capitali della dinastia Nara in Giappone, Silla in Corea e Tang in Cina. La sezione successiva parte dal Sud-Est asiatico attraversando il subcontinente indiano e l’altopiano tibetano fino ai regni e alle oasi desertiche vicino e intorno al bacino del Tarim, nell’attuale regione autonoma uigura dello Xinjiang, in Cina. La terza sezione esplora l’Asia centrale fino agli attuali Paesi islamici del Golfo conducendo i visitatori alla quarta, dedicata al Mediterraneo. L’ultima sezione infine raggiunge l’Europa nord-occidentale spingendosi fino a Gran Bretagna e Irlanda. Ogni macrosezione geografica presenta focus più piccoli e intimi, dedicati a popoli o siti che hanno svolto ruoli decisivi. I visitatori incontrano così i marinai dell’Oceano Indiano, i Sogdiani dell’Asia Centrale, i fedeli buddhisti del Tokharistan, i Vichinghi scandinavi dell’Europa orientale, il regno axumita in Africa nord-orientale e gli abitanti dell’Iberia islamica. Ovviamente i reperti significativi sono moltissimi. Ad esempio, un ricamo alto 2 metri e mezzo raffigurante un Buddha in piedi con discepoli e bodhisattva proveniente dalla Grotta 17 (Grotta della Biblioteca) fornisce un’eccezionale introduzione al sito di Dunhuang, in Cina. Parte di uno spettacolare dipinto murale noto come Sala degli Ambasciatori proveniente da Afrasiab (Samarcanda) in Uzbekistan, eseguito intorno al 660 e ancora vivacemente colorato, giunge per la prima volta in Gran Bretagna, così come diversi esempi di scultura buddhista arrivati dal Tagikistan. Un pastrano da cavallo verde-azzurro egiziano, realizzato in cashmere e lana di pecora con tracce di rifiniture in seta, cattura l’attenzione nella sezione mediterranea. Per quanto riguarda l’Europa continentale, probabilmente incuriosisce il primo oggetto esposto: una statuetta di Buddha realizzata in Pakistan ma trovata in Svezia, esemplare del grande tema della connessione interculturale affrontato dalla mostra.

Da sinistra: Luk Yu-Ping e Sue Brunning

Qual è l’immagine del mondo dell’epoca che emerge dalla mostra?
Asia, Africa ed Europa erano attraversate da reti sovrapposte, le cui rotte si estendevano in tutte le direzioni non solo via terra, ma anche per via marittima e fluviale. Queste reti erano piene di ogni genere di oggetti, idee e persone che viaggiavano per scelta o per forza. Gli scambi avvenivano in una miriade di contesti, inclusi ma non limitati a quelli commerciali. La maggior parte degli spostamenti non prevedeva lunghi viaggi singoli, ma molti viaggi brevi, che collegati tra loro potevano coprire distanze epiche. La mostra mira a dimostrare che i continenti erano ben collegati molto prima della globalizzazione odierna, anche se, naturalmente, con velocità e mezzi di comunicazione completamente diversi.

Quali sono le principali collaborazioni internazionali che avete attivato?
Sono 29 i prestatori nazionali e internazionali, che hanno permesso di portare a Londra oggetti straordinari. Alcune sono nuove partnership, ad esempio con le istituzioni di Uzbekistan e Tagikistan. La mostra ha però anche motivato entusiasmanti collaborazioni scientifiche mirate all’analisi degli oggetti esposti, che hanno notevolmente ampliato le nostre conoscenze. Il nostro museo sta infatti collaborando con il China National Silk Museum e la Zhejiang University per ricostruire i tessuti della Grotta 17 di Dunhuang. La ricostruzione utilizza, per quanto possibile, tecniche storiche di tessitura e tintura basate su analisi scientifiche condotte al British Museum. Inoltre è stata condotta un’analisi archeometrica del marmo di Aksum presso il Laboratorio per l’analisi dei materiali di origine antica dell’Università Iuav di Venezia, che detiene la principale collezione di riferimento di marmi antichi e medievali grazie alla ricca storia della città. I preziosi granati della famosa nave funeraria di Sutton Hoo, in Inghilterra, sono stati analizzati utilizzando l’emissione di raggi X indotta da particelle (Pixe) eseguita dall’Accelerateur Grand Louvre d’analyse élémentaire presso il Centre de recherche et de restauration des musées de France di Parigi. L’analisi, resa possibile dal progetto Transnational Access to Research Infrastructures del programma Ue H2020, indica che i granati provengono da Repubblica Ceca, India e Sri Lanka. 

Quale ruolo e importanza attribuite all’Italia?
Mostra e catalogo affrontano il tema del rapporto tra Bisanzio e l’Italia, concentrandosi sulla prima parte della cronologia della mostra e in particolare sulla città di Ravenna. Il catalogo getta uno sguardo anche sull’ascesa di Venezia e più tardi delle altre città-stato italiane. L’Italia ritorna anche in un approfondimento sull’espansione di Carlo Magno nel nord della penisola dopo la sconfitta dei Longobardi (774), che gli diede il controllo di nevralgici porti di collegamento con l’Oriente, tra cui Venezia che così accorciò le distanze con Bisanzio e il mondo islamico. Le importazioni, ad esempio di incenso e tessuti pregiati, spesso raggiungevano il regno franco-carolingio proprio tramite l’Italia e le Alpi.

La mostra si concentra anche su alcuni personaggi. Quali sono i più rilevanti?
Una è la leggendaria «principessa della seta» proveniente dall’Estremo Oriente, che portò questa tecnologia, per lungo tempo praticata solo in Cina, nel Regno di Khotan, nel bacino sud-occidentale del Tarim. La principessa nascose infatti uova di baco da seta e semi di gelso nel suo copricapo quando partì per sposare il re di Khotan. Un altro personaggio, non leggendario in questo caso, è Al-Khwarizmi, che, diventando astronomo e capo della Casa della Sapienza di Baghdad, supervisionò la traduzione in arabo di testi matematici e astronomici greci e indiani. La parola algebra deriva per esempio dal suo lavoro. Più temerario era sicuramente Willibald, monaco e missionario inglese straordinariamente scafato, che rischiando la pena di morte contrabbandò il prezioso balsamo aromatico di Tiro, nell’attuale Libano. Molto più toccante appare infine la storia di Shu’la, donna nubiana ridotta in schiavitù e venduta al mercato egiziano di Fustat, l’attuale Cairo. 

Elena Franzoia, 24 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

Le Vie della Seta passano dal British (per 5 mesi) | Elena Franzoia

Le Vie della Seta passano dal British (per 5 mesi) | Elena Franzoia