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L’artista colombiana ha «la capacità di trasformare la sofferenza e la perdita in speranza e guarigione attraverso la memoria» dice Samuel Keller, che ha riunito un centinaio di opere nella Fondation Beyeler
- Luana De Micco
- 22 maggio 2023
- 00’minuti di lettura


«Untitled» (1989-2014), di Doris Salcedo
© Doris Salcedo. Foto: Oscar Monsalve Pino
L’empatia di Doris Salcedo
L’artista colombiana ha «la capacità di trasformare la sofferenza e la perdita in speranza e guarigione attraverso la memoria» dice Samuel Keller, che ha riunito un centinaio di opere nella Fondation Beyeler
- Luana De Micco
- 22 maggio 2023
- 00’minuti di lettura
Luana De Micco
Leggi i suoi articoliL’installazione «Palimpsest» (2013-17) dell’artista colombiana Doris Salcedo è già in mostra alla Fondation Beyeler dall’ottobre scorso. È un’imponente e al tempo stesso fragile opera-memoriale, frutto di un lungo lavoro di ricerca, dedicata ai migranti morti nel Mediterraneo per raggiungere l’Europa, i cui nomi sono inscritti nella sabbia.
Dal 21 maggio al 17 settembre il museo le dedica un’ampia monografica, al cui allestimento l’artista, nata 65 anni fa a Bogotà, dove vive e lavora, ha partecipato in prima persona. Sono riunite un centinaio di opere e otto serie, con prestiti anche da istituzioni degli Stati Uniti come il Museum of Modern Art di San Francisco e il Glenton Museum di Potomac. Le opere di Doris Salcedo, sia le sculture sia le grandi installazioni site specific, affondano le loro radici nella guerra civile in Colombia e nelle sue tragedie, ne raccontano la violenza e l’emarginazione, nascono dal contatto con le persone e con la sofferenza umana.
Sono inoltre il risultato di sperimentazioni e anni di preparazione, in cui l’artista parla con le famiglie delle vittime e visita i luoghi dove si sono svolte le atrocità. Ma queste atrocità, il dolore, non vengono mai mostrati, sono appena palpabili, evocati attraverso opere sensibili e poetiche. «Il suo coinvolgimento sociale e politico è la forza trainante del lavoro artistico di Doris Salcedo, che dà corpo a emozioni ed esperienze come l’empatia, il lutto e l’alienazione, ha spiegato Sam Keller, direttore della Fondation Beyeler e curatore della mostra. Ma invece di ricorrere a effetti plateali, Doris Salcedo ricerca le emozioni condivise dai visitatori. Sebbene le sue opere siano radicate su eventi concreti e biografie individuali, l’artista riesce a trovare forme di espressione che acquisiscono valore e significato universali. La sua arte ha la capacità di trasformare il dolore, la sofferenza e la perdita in speranza e guarigione attraverso la memoria».
L’artista usa materiali diversi, il legno, il metallo, il cemento, la terra, ricicla vestiti e vecchi mobili. «Unland» (1995-98), per esempio, in cui Salcedo mescola seta e ciocche di capelli, nasce da racconti di bambini orfani colombiani che sono stati testimoni della morte dei genitori, mentre la scultura «Untitled» (1989-93), composta da camicie bianche colate nel gesso e aste di acciaio, trae spunto dai massacri nelle piantagioni colombiane del 1988.
A sua volta, «Disremembered» (2014-15/2020-21), un velo di seta punteggiato da piccoli aghi, simbolo del dolore inconsolabile, nasce dai racconti di madri che hanno perso i loro figli vittime della violenza nei quartieri difficili di Chicago. Tra le opere esposte anche «Plegaria Muda» (2008-10), un’installazione composta da ripiani della grandezza di una bara da cui spuntano fili d’erba, ispirata alla guerra tra bande rivali a Los Angeles, e «A Flor de Piel» (2011-14), un sudario composto da centinaia di petali di rosa cuciti tra di loro.