A suggellare l’intervento di riqualificazione, Palazzo dei Diamanti riapre con quella che si preannuncia come una mostra «epocale» sull’Età dell’Oro ferrarese: «Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa», a cura di Vittorio Sgarbi e Michele Danieli (docente di Storia dell’arte all’Alma Mater Studiorum bolognese) e allestita dal 18 febbraio al 19 giugno. L’esposizione si inserisce in un progetto più ampio: «Rinascimento a Ferrara 1471-1598. Da Borso ad Alfonso II d’Este», che indaga la vicenda storico artistica del periodo dal ducato all’infausto passaggio alla Chiesa, percorso idealmente già iniziato anni fa con «Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L’arte a Ferrara nell’età di Borso d’Este» (Palazzo dei Diamanti, 2007), e che illustrerà in futuro gli altri protagonisti di quella stagione: Mazzolino e Ortolano, Dosso e Garofalo, Girolamo da Carpi e Bastianino.
Con un percorso suddiviso in dieci sezioni tematico-cronologiche e oltre 100 opere dal 1450 al 1530, provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo, la mostra offre l’occasione di riscoprire due fini interpreti del Rinascimento italiano: Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa. Dotato di un incredibile talento compositivo e pittore straordinario per qualità ed espressività emotiva, Ercole de’ Roberti (Ferrara, 1450 ca-1496), erede dell’Officina Ferrarese, fu il più giovane e intellettuale di quanti parteciparono al clima culturale di Palazzo Schifanoia, negli ultimi anni del governo di Borso, che nell’aprile 1471, quattro mesi prima di morire, riceveva da papa Paolo II Barbo (veneziano e alleato) l’agognata trasformazione della signoria in ducato di Ferrara.
Ercole operò molto e variamente anche nella vicina Bologna dei Bentivoglio, dove lasciò una traccia profonda, ma a Ferrara incontrò il clima culturale più congeniale per esprimersi quale pittore di corte degli Este, sostituendo Cosmè Tura nel 1476. Lorenzo Costa (Ferrara, 1460-Mantova, 1535) ne fu erede, continuandone la declinazione stilistica nelle opere giovanili ma negli anni seguenti, interagendo fra la corte estense e Bologna. Il suo pennello virò in direzione di una tavolozza più morbida e di una classicità calma e distesa, riflettendo nella sua opera il sentire di un mondo che andava cambiando: Leonardo e Perugino stavano imponendo una nuova «maniera», di cui Costa si fece subito padrone essendone fra i principali interpreti, ma personalissimo, di più divenendolo col trasferimento a Mantova nel 1506, chiamato dalla «Divina» del Rinascimento italiano, Isabella d’Este, alla corte dei Gonzaga.
Più di 20 opere (di gran lunga il numero maggiore mai riunito), dagli esordi alla compiuta maturità, illustrano la poetica di Ercole de’ Roberti: dalle tavole del «Polittico Griffoni», eseguito a latere di Francesco del Cossa, ai ritratti di Giovanni II Bentivoglio» (Bologna, Museo di Palazzo Poggi Genus Bononiae) e della moglie Ginevra Sforza (National Gallery di Washington), illuminanti delle personalità dominanti dei due coniugi e testimonianza degli artistici prestigio e allure conseguiti nelle corti padane. Gli ultimi anni, quando Ercole, rientrato a Ferrara, è pittore di corte, splendono del prestito preziosissimo ed unico della National Gallery di Londra di quattro opere: il «Dittico della duchessa Eleonora d’Aragona» (due tempere su tavola del 1490: la «Natività» e la «Visione di san Gerolamo»), la «Raccolta della Manna» e l’«Istituzione dell’Eucarestia» (forse già in una chiesa ferrarese). Dal Kimbell Art Museum di Forth Worth giunge la tavola «Porzia e Bruto» a ricongiungersi con la tavola sorella «Lucrezia, Bruto e Collatino» della Galleria Estense di Modena.
Altrettanto seducente la presenza di Lorenzo Costa, anche qui muovendo dal periodo giovanile col quasi edipico ma fruttuoso confronto con Ercole nelle «Storie degli Argonauti» (1484-90), di cui quattro delle sei tavole sono riunite qui per la prima volta: dal Museo degli Eremitani a Padova, dalle Collezioni della Cassa di Risparmio a Firenze, dal Musée des Arts Décoratifs di Parigi e dalla Collezione Thyssen Bornemisza di Madrid, mentre delle altre due, già nelle collezioni Houstoun-Boswell di Londra e Rucellai di Firenze, la quinta, apparsa in asta, è oggi in sconosciute mani private e della sesta forse un frammento è al Museo Puškin a Mosca.
Si passa poi, incontrando capolavori come la «Natività» del 1492-94 (Musée des Beaux-Arts di Lione), all’esaltante sfilata di pale d’altare degli anni 1490. Infine, a illustrare il Costa più morbido e classicheggiante, è in mostra la serenità della «Sacra Famiglia» dipinta nel 1509 per la regina di Francia Anna di Bretagna e oggi al Toledo Museum of Arts dell’Ohio, e poi del conclusivo periodo mantovano sono presenti «Santa Veronica» dal Louvre, il «Ritratto di Cardinale nel suo studio» (1510; forse Gabriele de’ Gabrielli «Il Cardinal d’Urbino», celebre mecenate, 1445-1511) dal Minneapolis Institute of Art e l’ultima opera nota: la «Madonna e santi» della Basilica di Sant’Andrea a Mantova, datata 1525.
A rendere ancora più appagante la mostra, ai due protagonisti sono affiancati maestri nobili e compagni di viaggio loro contemporanei in un controcanto a più voci: da Mantegna, Cosmè Tura, Nicolò dell’Arca, Marco Zoppo fino al dialogo con temperamenti esterni all’ambiente estense e ferrarese: Antonio da Crevalcore, Guido Mazzoni, Boccaccio Boccaccino, Francesco Francia, fino a Perugino.
Prodromo ideale alla mostra si pone Palazzo Schifanoia, dove il giovane Ercole de’ Roberti esordì nel Salone dei Mesi realizzando il mese di settembre. E questo perché, come avvertono a una voce i curatori: «La mostra si svolge a Palazzo dei Diamanti, nell’elegante nuovo percorso espositivo: un luogo altamente simbolico per la città, e indaga l’attività di due pittori squisitamente ferraresi. Il legame con Ferrara è dunque molto forte e il senso dell’iniziativa travalica la pura ragione espositiva. Non crediamo che una mostra del genere sarebbe stata possibile in un altro luogo, né avrebbe avuto lo stesso significato né gli stessi prestiti».
E si aggiunga, continua Michele Danieli (artefice della mostra quanto Sgarbi ne è il deus ex machina): «Troppo spesso, ormai, visitiamo esposizioni dedicate a famosi artisti, però presenti in mostra solo con il titolo e poc’altro. Qui le circa 25 opere di Ercole de’ Roberti e le circa 40 di Lorenzo Costa sono di gran lunga il numero più alto mai riunito fino ad ora, e permettono di apprezzare appieno e in dettaglio il fiorire del linguaggio dei due pittori. Ma non solo: l’elenco dei prestatori vede i maggiori musei del mondo, dalla National Gallery di Londra a quella di Washington, dal Louvre alla Gemäldegalerie di Berlino, ma coinvolge anche Minneapolis, Filadelfia, Lione e giunge fino a istituzioni locali come il Museo di Nonantola».
Infine, puntualizza sempre Danieli: «Un ultimo aspetto ma il più importante: la qualità delle opere è sensazionale. Ercole è pittore di abilità implacabile, che non conosce mai flessioni o cali di concentrazione. La mostra non ha bisogno di proporre attribuzioni sensazionali o di estrarre dal cilindro novità improbabili: al contrario, propone opere spesso molto note alla bibliografia specialistica ma quasi mai offerte al pubblico italiano. Anche il percorso di Lorenzo Costa, artista più prolifico ma non ancora valorizzato come merita, è seguito attraverso dipinti di grande importanza, spesso finalmente datati con precisione».
Una mostra squisita, quindi, e «squisitamente ferrarese» (citando i curatori), per due pittori altrettanto artisticamente squisiti. E per restare in tema di squisitezze, a confermare l’eminenza del contributo del Rinascimento ferrarese non solo alla storia dell’arte ma anche a quello che Norbert Elias chiama il «processo di civilizzazione», a tutto tondo, basterà ricordare che proprio a Ferrara, nel febbraio 1502 per le feste alla nuova duchessa appena impalmata, la luminosa Lucrezia Borgia, furono i celeberrimi cuochi estensi che, a celebrare i biondi capelli lunghi della sposa, inventarono niente meno che le tagliatelle.