Una veduta dell’installazione di Georges Adéagbo, «The revolution and the revolutions…!», 2016

Cortesia dell’artista

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Una veduta dell’installazione di Georges Adéagbo, «The revolution and the revolutions…!», 2016

Cortesia dell’artista

L’ontologica archeologia del presente di Adéagbo

La prima personale dell’artista africano nella Galerie Mennour di Parigi mette in evidenza la sua predilezione per l’oggetto che si ricollega alla sua vicenda personale

Distogliere lo sguardo dal «centro» per considerare l’arte moderna occidentale da una prospettiva nuova, inedita. Ricreare un archivio «de-gerarchizzato» in cui il banale dialoga con i grandi nomi del mondo dell’arte. Perché è grazie alla creazione di una ontologica archeologia del presente che Georges Adéagbo (Benin, 1942) delinea la sua poetica. La poetica di artista, figura di spicco della scena artistica africana, in grado di connettere tempi, spazi e mondi che solo apparentemente sembrano lontani. Che solo apparentemente sembrano eternamente divisi.

È infatti basandosi sulla personale prospettiva di un artista poeta e narratore che Emma-Charlotte Gobry-Laurencin e Christian Alandete hanno delineato la prima personale di Adéagbo alla Galerie Mennour di Parigi dal titolo «Ma personne de Georges Adéagbo», visitabile fino al 20 marzo.

Una mostra che, se nella prima sala evidenzia un preambolo retrospettivo dell’artista, permettendone un preciso ricollocamento sia nella sua storia personale sia in quella dell’arte contemporanea degli ultimi trent’anni, sotto la copertura vetrata della galleria francese, invece, raccoglie quelli che potrebbero essere definiti i «surrealismi» di Georges Adéagbo, ovvero dei lavori in cui l’artista trasforma l’appropriazione occidentale dell’arte africana in un boomerang, facendo ricreare da artigiani beninesi gli oggetti di artisti e collezionisti europei per poi riportarli a Parigi sotto un'altra veste. 

Una predilezione, quella per l’oggetto, che si ricollega alla vicenda personale dell’artista. Dopo la morte del padre e il necessario ritorno in Benin, terra d’origine da cui si era allontanato anni prima per completare gli studi e avviarsi ad una carriera professionale in ambito giuridico, Adéagbo vive una profonda crisi che lo porta a raccogliere oggetti emotivamente rilevanti nel tentativo, componendoli e ricomponendoli, di trovare risposte alle domande che, in un periodo così complesso e delicato della vita, affioravano dalla sua anima. Un modo, questo, per esternare quella porzione del suo io più profondo che altrimenti sarebbe rimasta inespressa, inevasa. Perché l’assemblaggio e il riassemblaggio di oggetti appartenenti a una dimensione «altra», che si desidera recuperare o, di per contro, eliminare, può portare con sé un messaggio evocativo e, talvolta, sovversivo.

È infatti il recupero trasformativo dei rifiuti e delle componenti di scarto, intesa come pratica quotidiana di sopravvivenza della metropoli postcoloniale, che sembra sottolineare come l’interazione tra storie e culture diverse possa rispondere a interrogativi tanto personali quindi collettivi.

Un’idea, dunque, quella di raccolta, organizzazione, catalogazione e archiviazione, che parrebbe rievocare riferimenti tanto alle Wunderkammer rinascimentali, per l’effetto di meraviglia dato dagli accostamenti oggettuali talvolta difficili da decifrare ma affascinati del loro misterioso stare, quanto all’arte polimaterica di Prampolini, ai papiers-collés di Braque o alle costruzioni oggettuali di Schwitters. Perché la trasposizione di porzioni di realtà in modalità altre e differenti permette la connessione di spazi, tempi e luoghi, sperimentando una nuova gestione del sentire e del sapere: quel sentire che all’inizio degli anni ’20 e ’30 le avanguardie, soprattutto cubista e surrealista, avevano comunicato a gran voce, trovando nella statuaria africana un «realismo magico» che avrebbe radicalmente trasformato la storia dell’arte e le sue rappresentazioni; ma, anche, quel sentire che permette ad Adéagbo di creare un suo archivio mentale sottostante alla realizzazione delle sue esposizioni.

È infatti grazie alla creazione di un archivio volontario di de-gerarchizzazione, in cui il banale si affianca a una cultura prodotta da altri artisti, poeti e intellettuali del suo secolo, che l’artista decina la sua produzione nei vari spazi espositivi. Degli spazi in cui l’apparente semplicità di opere riprodotta diviene, in realtà, un’ontologica archeologia del presente.

Un’analisi, cioè, di cosa significa realmente «essere» in un tempo in cui l’arte diventa specchio infranto e mosaico di memorie che si ricompongono in un racconto inedito. Un racconto che, grazie all’abilità di Georges Adéagbo, è in grado di connettere tempi, spazi e mondi che solo apparentemente sembrano lontani. Che solo apparentemente sembrano eternamente divisi.

Georges Adéagbo

Nicoletta Biglietti, 10 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

L’ontologica archeologia del presente di Adéagbo | Nicoletta Biglietti

L’ontologica archeologia del presente di Adéagbo | Nicoletta Biglietti