Dall’8 luglio al 6 ottobre la Fondazione Merz di Torino presenta la mostra «Qualcosa che toglie il peso», dedicata a uno degli artisti più potenti e poetici dell’arte italiana, elemento cardine dell’Arte povera, Mario Merz (1925-2003). Il titolo prende spunto proprio da un suo pensiero: «Vorrei avere la firma di qualcuno che sia stato curato dalla proliferazione/qualcosa che toglie il peso…/penso ai numeri uno dopo l’altro in una dilatazione proliferante…/sono un tappeto volante su cui vivere…/che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola». Abbiamo intervistato Beatrice Merz, presidente e direttrice della Fondazione, che ha curato la selezione delle opere e l’allestimento.
Il titolo della mostra è quanto mai contemporaneo ed esprime quel senso di peso collettivo che stiamo vivendo.
Sì, ed esprime anche il bisogno di alleggerire il pensiero e lo spirito da questa pesantezza e inquietudine, che è palpabile, comune. Nella mostra ci sono tanti elementi che ci possono aiutare, soprattutto la via della natura è un’indicazione, una visione. Guardiamo a lei anche per renderci conto di che cosa abbiamo attorno.
È una mostra con opere poco note.
È una mostra diversa, con al centro un grandissimo tavolo lungo 20 metri che non era mai stato esposto in Europa, perché era sempre rimasto negli Stati Uniti dove venne realizzato nel 1985 per una mostra personale da Sperone Westwater e Leo Castelli. Si intitola «Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia» ed è composto da parti in foggia di foglie e intorno ad esso si apre una conversazione con altre opere. Anche l’igloo (1997) che abbiamo scelto è molto leggero, con foglie d’oro che creano riverberi, esposto pochissimo, diverso da quelli più classici con i vetri o le scritte al neon. Ha una sua dimensione onirica, che è anche un’altra chiave di lettura del progetto. Ci si muove nello spazio della fondazione come in una sorta di sogno.
Mario Merz parla di un tappeto volante e di favola nel suo pensiero scelto come titolo, e la mostra sembra suggerire stimoli diversi oltre alla visione: una grande luce inonda lo spazio e attraversa le opere smaterializzando il senso di realtà, mentre il tavolo diffonde un profumo di cera nell’aria.
Il profumo della cera che ricopre tutto il tavolo aiuta a entrare in un’atmosfera dove sensi e immaginazione dello spettatore sono sollecitati, come in una favola. Anche la serie di disegni, che abbiamo allestito nella parte alta delle pareti della Fondazione, obbliga ad alzare la testa: un gesto simbolico di sollevare lo sguardo da terra. Sono disegni di grande formato che hanno per soggetto animali e visi ed evocano un allestimento che Mario aveva realizzato a Nimes per una mostra. Insieme ci sono anche dei dipinti su tela, uno con degli animali, mai esposto prima, e altri con forme organiche che ricordano delle foglie ed entrano in dialogo con il tavolo.
Una favola sulla natura.
Una natura che vive anche nel nostro quotidiano, organica, di cui parla un piccolo lavoro composto da due vasi pieni di miele e vino («L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour» del 1995), prodotti che, come la cera, esprimono l’idea di un sacro naturale di cui l’umanità fa parte.
Questa mostra è un nuovo racconto su Mario che prosegue il lavoro della fondazione.
L’anno scorso nella sede della Fondazione a Palermo, la ZaCentrale ai Cantieri Culturali alla Zisa, avevamo presentato una piccola retrospettiva su Mario, «My home’s wind», ma l’ultima mostra a Torino risale al 2021, ed era stato un dialogo tra Mario e Marisa Merz. Oltre alle opere, in questo nuovo progetto presentiamo anche una cronologia raccontata attraverso fotografie e piccoli testi che ripercorrono la vita e il lavoro di Mario a partire dagli anni Sessanta.
La figura di Mario è molto amata dai giovani artisti, lo conferma la grande partecipazione al premio Mario Merz.
Abbiamo sempre avuto una grande partecipazione in effetti, ed è sempre più difficile scegliere finalisti e vincitore, perché la qualità è altissima. Sono contenta però, perché all’inizio c’era un livello alto soprattutto nelle candidature degli artisti internazionali mentre recentemente questo aspetto riguarda finalmente anche gli italiani. All’ultima edizione del premio, i nomi italiani selezionati che parteciperanno alla mostra nella primavera 2025 in fondazione sono tre su cinque: Elena Bellantoni, Agnes Questionmark e Anna Franceschini (con loro Mohamed Bourouissa da Francia/Algeria e Voluspa Jarpa dal Cile, Ndr).
Il tradizionale evento estivo di «Meteorite in giardino», che vedeva lo spazio esterno della Fondazione come palcoscenico di eventi, quest’anno non c’è. Perché?
Meteorite è diventato il programma di eventi che la fondazione vuole fare vivere tutto l’anno con forme diverse, arte intesa anche come musica e teatro. Il 18 e 19 settembre è previsto un convegno su Mario Merz; poi anche quest’anno ospiteremo il Festival delle Colline e prosegue il progetto Barca Solare in collaborazione con l’Orchestra Filarmonica di Torino.