«Rabbit Inhabits the Moon» (1996) di Nam June Paik

© Nam June Paik Estate

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«Rabbit Inhabits the Moon» (1996) di Nam June Paik

© Nam June Paik Estate

Paik tra il passato e il presente coreano

La mostra al Mao di Torino prende il titolo dall’opera dell’artista coreano che ruota attorno alla leggenda legata all’antica fiaba buddhista Śaśajâtaka del coniglio lunare

Il 19 ottobre apre «Rabbit Inhabits the Moon», quarto progetto espositivo della programmazione del Mao Museo d’Arte Orientale sotto la direzione di Davide Quadrio. La mostra s’inserisce nella visione curatoriale di mostre temporanee in dialogo con le collezioni permanenti, offrendo una riflessione critica e stimolando domande e osservazioni intorno al patrimonio d’arte asiatica. I percorsi espositivi si caratterizzano per accostamenti di oggetti di provenienza geografica e temporale distanti, facendo affiorare relazioni e contaminazioni costanti attraverso i secoli che alimentano il panorama culturale euroasiatico. 

«Rabbit Inhabits the Moon» rafforza il tessuto di relazioni del Mao con interlocutori nazionali e internazionali: presentata nell’anno del 140mo anniversario dell’accordo diplomatico tra Corea e Italia, la mostra è realizzata in partnership con il Nam June Paik Art Center e la Fondazione Bonotto, con il supporto della Korea Foundation e con prestiti, tra gli altri, da Musée Guimet-Musée national des Arts asiatiques di Parigi, Museo d’Arte Orientale «E. Chiossone» di Genova e Museo delle Civiltà di Roma. «Il progetto anticipa al pubblico torinese un primo accostamento all’arte coreana che, grazie alla collaborazione in corso tra le città di Torino e di Gwangju, consentirà di aprire una piccola sezione dedicata alla Corea all’interno delle collezioni permanenti», sottolinea Davide Quadrio. 

La mostra prende avvio da Nam June Paik (Seul, 1932-Miami, 2006), artista centrale del XX e del XXI secolo che, abbandonata la Corea con la sua famiglia a causa della guerra del 1950, nel suo lavoro racchiude i segni dell’immigrazione e della diaspora coreana. Tracce della cultura asiatica d’origine insieme a tratti occidentali sono presenti nelle sue opere che uniscono elementi rituali della tradizione coreana con aspetti della cultura mediatica e di massa occidentale, in particolare in relazione al contesto che si sviluppa a partire dagli anni ’60 e ’70 in Europa e negli Stati Uniti. Considerato uno dei pionieri della videoarte, con una formazione da pianista e musicologo, i suoi lavori mostrano il progresso tecnologico utilizzando un linguaggio capace di tenere insieme aspetti mediatici di una società capitalistica e commerciale e principi rituali legati alla tradizione culturale e sciamanica coreana, alla poesia, alla musica. Stilemi, idee, pensieri e riferimenti del mondo asiatico presenti nella sua arte hanno influenzato la produzione artistica occidentale, in particolare le arti visive e musicali degli ultimi cinquant’anni, dimostrando l’importanza e l’attualità di questo ibridismo culturale. 

Le opere di Nam June Paik dialogano con manufatti coreani storici e installazioni di artisti contemporanei, tra i quali Jesse Chun, Ahn Kyuchul, eobchae × Ryu Sungsil, Sunmin Park, Shiu Jin, Park Jiha, Kwon Dae-sup. Ogni sala mette in rilievo il confronto e la giustapposizione di tematiche, tecniche, materiali e manifatture diversi. La mostra non segue una narrazione cronologica, procede per accostamenti formali creando dei nuclei tematici in cui simbologie e iconografie risuonano in oggetti e installazioni. L’allestimento propone una successione organica di opere favorendo un’atmosfera immersiva arricchita da interventi performativi e musicali. «Rabbit Inhabits the Moon» prende il titolo dall’omonima opera di Nam June Paik del 1996. Sottesa al progetto è la leggenda legata all’antica fiaba buddhista Śaśajâtaka del coniglio lunare che, avendo sacrificato la sua vita per sfamare un anziano viandante, fu portato dalla divinità Śakra (secondo la tradizione induista) e Ch’ang Ô (secondo la tradizione cinese) ad abitare sulla luna. Traslati nel contesto espositivo, questi riferimenti assumono una pluralità di significati e simbologie. Gli elementi tematici principali del percorso si ripetono all’interno di forme e oggetti risuonando come fili conduttori e scandendo il ritmo concettuale, visivo e sonoro della mostra, curata da Davide Quadrio e Joanne Kim, critica e curatrice coreana, con Anna Musini e Francesca Filisetti e la consulenza curatoriale e scientifica di Manuela Moscatiello (Chargée d’étude, Maison de Victor Hugo di Parigi), Kyoo Lee (docente di filosofia, studi di genere e studi sulla giustizia, City University di New York) e Patrizio Peterlini (direttore della Fondazione Bonotto). Il programma «Evolving Soundscape» è a cura di Chiara Lee e Freddie Murphy

«Human Cello» (1984) di Nam June Paik. Cortesia della Fondazione Bonotto

Anna Musini, 17 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Paik tra il passato e il presente coreano | Anna Musini

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