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Siamo realisti: la vera fotografia è vintage

La straordinaria raccolta di Guido Bertero, l’imprenditore che ha «creato» il collezionismo del fotorealismo

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Jenny Dogliani

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Fino al 29 gennaio 2017 il Museo Ettore Fico (Mef) di Torino ospita un focus sulla collezione di fotografia vintage italiana di Guido Bertero. 261 stampe in bianco e nero del 1932-68 di un centinaio di autori italiani e internazionali documentano personaggi, vicende storiche, scena artistico culturale e cambiamenti sociali e di costume che hanno interessato il Paese in quattro decenni cruciali. È il primo di tre appuntamenti che il museo dedica a questa raccolta che annovera 2mila fotografie realizzate dal 1870 ad anni recenti da Henri Cartier-Bresson, Paul Strand, Walker Evans, Gianni Berengo Gardin, Lisetta Carmi, Carlo Orsi e Ferdinando Scianna (solo per citare alcuni autori), riunite dall’imprenditore torinese in 28 anni. I due appuntamenti successivi, nel 2017-18, verteranno il primo sul paesaggio, con fotografie da fine Ottocento agli anni Settanta, l’altro sull’evoluzione dall’astrazione al concettuale, con lavori dagli anni Trenta ad alcuni tra gli ultimi scatti di Luigi Ghirri. L’idea del Mef è di esportare questo ciclo di mostre anche all’estero. Intanto Bertero ha firmato un accordo con la Grey Art Gallery della New York University per esporre dal 5 settembre 2018 un nucleo di fotografie neorealiste degli anni Cinquanta di autori italiani.  

Guido Bertero, quando ha iniziato a collezionare?
Quando mi sono sposato. Sono sempre stato un collezionista metodico e appassionato alle tematiche che di volta in volta mi hanno coinvolto. In questo senso sono erede di mio nonno che era archivista presso l’Archivio di Stato. Comprai i primi oggetti per arredare la casa. Mi appassionai all’arte antica con la fortuna di avere accanto collezionisti amici e galleristi che mi insegnarono a entrare nel vivo della storia riguardante le passioni che affrontavamo: maioliche rinascimentali, tappeti di area caucasica, libri antichi riguardanti la botanica, l’astronomia, la montagna, la pittura antica e l’Astrattismo geometrico del dopoguerra italiano. Ma l’unica collezione vera è quella relativa alla fotografia.

Quando ha comprato la prima fotografia?
Ad Artissima nel 1998. Incontrai Daniela Trunfio, allora segretaria della Fondazione Italiana per la Fotografia (attiva a Torino dal 1985 al 2006, Ndr) di cui era presidente Luisella D’Alessandro. Mi fece notare Jan Groover nello stand di Raffaella Cortese. Si trattava di nature morte con colori molto tenui. Ne comprai due per farne dono alle mie figlie.

Com’è diventato collezionista di un genere così particolare?
Dopo un paio di settimane la Fondazione ospitava il fotografo americano Duane Michals ma in cambio avrebbe dovuto comprargli 8 opere e feci da sponsor per sostenere l’acquisto. Quando Michals arrivò a Torino, conobbi la sua curatrice, Enrica Viganò, che stava organizzando una mostra a Madrid sul Neorealismo italiano per PHotoEspaña. Aveva bisogno che finanziassi le stampe da produrre per l’esposizione. Si trattava di percorrere l’Italia dai vari fotografi, che allora erano ancora tutti vivi e questa idea mi piacque. Comprammo le prime fotografie che però non avevano alcun valore, se non quello documentaristico, essendo riproducibili. Così decisi di cercare foto vintage, quelle stampate al momento dello scatto. Siamo tornati dagli stessi fotografi: alcuni ce le vendettero, altri no, erano diffidenti perché non mi conosceva ancora nessuno. Organizzammo comunque quella mostra con foto di Mario De Biasi, Pietro Donzelli, Mario Giacomelli, Nino Migliori, Enrico Pasquali, Federico Patellani, Tino Petrelli, Franco Pinna, Fulvio Roiter ed Enzo Sellerio. Cominciai così e così mi appassionai all’argomento.

Come sceglie le opere?
All’inizio Enrica Viganò è stata di grande aiuto perché conosceva questo mondo, era specializzata in questa tipologia di fotografia italiana e con lei ho cominciato a costruire la collezione. Dopo PHotoEspaña, sempre con la Viganò (che tra il 1992 e il 1997 ha gestito a Milano la Galleria Il Diaframma Kodak Cultura e nel 1997 ha fondato nella stessa città Admira, studio specializzato nella ideazione e organizzazione di mostre indirizzate al mondo della fotografia, Ndr), abbiamo continuato a comprare e nel 2007 abbiano presentato la prima mostra della Collezione («Neorealismo. La nuova immagine in Italia 1932-1960») al Fotomuseum di Winterthur. Abbiamo girato l’Italia, siamo entrati in contatto con le famiglie, le vedove, i figli, i litigi, le gelosie: conoscerli e comprare direttamente da loro è stata la parte più appassionante. A volte venivo rifiutato, perché allora ancora non esisteva l’idea di collezione fotografica. Piergiorgio Branzi aveva promesso a Sandra Phillips, allora curatrice del San Francisco MoMA, un servizio sul miracolo di san Gennaro a Napoli: gli dissi che non poteva lasciare quelle foto a San Francisco, ma non avevo l’autorevolezza necessaria per essere ascoltato. Poi, un Natale di 15 anni fa, Branzi mi scrisse: «Vedrai che un giorno te le venderò» e alla fine, dopo anni, ha scelto me anziché San Francisco. Questo tipo di fotografia necessita di un certo tipo di pathos che si instaura tra chi la vende e chi la colleziona. Devi riuscire a comprarne tante perché altrimenti mancherebbero alla storia i collegamenti. Occorre mettere tutto insieme e suddividere per capitoli, per anni per costituire un percorso logico.

Qual è il rapporto tra la fotografia artistica e di reportage?
La fotografia degli artisti che la usano come mezzo di espressione appartiene a tutto un altro mondo, lontano da me. Per me la fotografia è un modo per testimoniare. Poi è diventato un modo artistico per rappresentare quello che l’autore ha in mente, ma allora preferisco la pittura. Il mercato della fotografia contemporanea è pieno di belle fotografie, però quando le osservo mi manca qualcosa, che non riesco a cogliere. Le fotografie della mia collezione non sono «artistiche», sono storie: in questo caso non compri l’impatto visivo ma devi entrare nel momento storico dello scatto. È un altro tipo di collezionismo.

Può essere anche una forma di investimento?
Assolutamente sì. Lo si nota partecipando alle fiere specializzate come Paris Photo, dove folle di appassionati cercano di soddisfare le loro particolari pulsioni emotive. Nel tempo il valore di queste fotografie aumenterà, ma per collezionarle è necessaria la passione storica verso la documentazione rappresentata.

Com’è il mercato in Italia?
Comincia solo adesso a esserci un certo mercato che tratta un po’ la fotografia dell’800 un po’ quella neorealista. Il resto è fotografia d’artista contemporanea.

È cresciuto il collezionismo negli ultimi anni?
Oggi c’è un collezionismo di fotografia. Nel settore che a me interessa saremo una cinquantina, forse un centinaio. Io ho intrapreso un percorso unico; è chiaro che diventa difficile comprare una foto sola vista in una galleria. Io ho avuto la fortuna di comprare direttamente dai fotografi.

Dove compra le fotografie?
Le più belle foto italiane le ho comprate negli Stati Uniti. Howard Greenberg, un gallerista di New York, verso l’inizio del 2000 mi ha dato la possibilità di accedere agli archivi di Time Life, che per alcuni mesi decise di vendere i positivi, disperdendo un patrimonio notevole. Lì comprai alcune foto di Robert Capa e molti altri: è stata una possibilità del tutto particolare. Ci sono inoltre poche, ma selezionate gallerie italiane che trattano la fotografia storica; cominciano anche a occuparsene alcune case d’asta: Bolaffi, Minerva, Boetto.

Ha mai pensato al futuro della sua collezione?
Dipenderà dal volere delle mie figlie. Intanto continuo a cercare di migliorarne la qualità, la completezza per farla diventare un corpo unico. Mi piacerebbe che avesse una destinazione pubblica in Italia interessata a farla vivere. Però dove, quando? La Gam di Torino ha una bellissima collezione di fotografie, ma sono anni che non produce una mostra. Una generazione intera non usufruisce di questo patrimonio storico.

Anche lei fotografa?
Ho smesso quando ho cominciato a collezionare.

Jenny Dogliani, 13 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

Siamo realisti: la vera fotografia è vintage | Jenny Dogliani

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