La «Gioconda» accende sempre passioni anche quando non si tratta dell’originale. Lo dimostra l’interesse suscitato dalle ricerche condotte nel 2012 sulla copia della Monna Lisa conservata nella collezione del Museo del Prado, un olio su legno di noce, datato tra il 1503 e il 1519, che ha apportato nuovi e sorprendenti dati sulle pratiche della bottega di Leonardo.
Per far conoscere al grande pubblico queste ricerche, il Prado inaugura il 29 settembre «Monna Lisa. Nuovi approcci alla pratica del laboratorio vinciano» (fino al 23 gennaio), una mostra monografica incentrata nell’esame delle copie e delle versioni realizzate nella bottega di Leonardo, durante la vita del maestro e da lui autorizzate.
Opere fondamentali come «La Madonna dei fusi (Madonna Buccleuch)», il «Salvator Mundi (versione Ganay)» eccezionalmente prestato da una collezione privata o la riproduzione di «Sant’Anna, la Vergine e il Bambino» della National Gallery di Londra, sono esposte accompagnate dalle rispettive riflettografie infrarosse, tecnica utilizzata anche per mostrare la «Gioconda» del Louvre, che non abbandona mai il museo parigino.
Fino a 10 anni fa la Monna Lisa del Prado era considerata una delle tante copie del capolavoro di Leonardo, ma gli studi e le analisi del 2012 hanno rivelato che si tratta della prima copia di cui si ha notizia. I materiali impiegati sono di alta qualità e la lavorazione è molto accurata, seppur inferiore all’originale.
«Molti elementi inducono a pensare che l’autore sia uno degli allievi più vicini al maestro, come Salaì o Francesco Melzi», spiega Ana González Mozo, curatrice della rassegna. Le figure hanno le stesse dimensioni, il sorriso è identico e lo sguardo segue l’osservatore madrileno come quello parigino, ma la «Gioconda del Prado» ha sopracciglia e ciglia, la fronte più bassa, il velo bianco anziché nero e le maniche rosse invece che gialle.
«Lo sfondo nero della copia di Madrid celava lo stesso paesaggio che circonda la Gioconda di Leonardo. Questo unito ad altri dettagli conferma che i due ritratti furono dipinti nello stesso momento, nello stesso luogo e usando lo stesso modello», conferma Almudena Sánchez, la specialista che ha condotto il restauro.