Si è conclusa oggi la due giorni organizzata da The New European Bauhaus (Neb) dal titolo «Radical Yet Possible Future Space Solutions», evento collaterale della 18ma Mostra internazionale di Architettura di Venezia ospitato nelle sedi Iuav di Ca’ Tron e Tolentini.
Dopo la prima giornata dedicata alle masterclass che hanno visto protagonisti architetti di fama internazionale come Shigeru Ban, Bjarke Ingels e Rem Koolhaas e i relativi workshop, il programma odierno ha visto gli interventi della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, della curatrice della 18ma Biennale Architettura Lesley Lokko e, nel pomeriggio, tre tavole rotonde di discussione. Nel ricco gruppo di relatori anche Giulia Foscari, giovane architetta veneziana con all’attivo un’esperienza internazionale. Tra gli ultimi lavori del suo studio, Una, anche il restauro di Palazzo Priuli Manfrin, futura sede lagunare della Kapoor Foundation.
Il suo contributo alla riflessone sul fragile equilibrio ecosistemico del Pianeta e su possibili azioni future parte dalla presa di coscienza di rappresentare «una categoria professionale, quella degli architetti, che opera in un settore da solo responsabile per il 40% delle emissioni globali».
«Come veneziana, afferma, condivido il mio destino con i cittadini degli stati insulari globali e delle comunità costiere a rischio a causa dell’innalzamento del livello del mare indotto dal cambiamento climatico». Ma la sua, più che una riflessione «Venezia-centrica», vuole essere la «condivisione di preoccupazioni profonde e proposte concrete su scala planetaria».
È per questo che Foscari invita a «spostare l’attenzione sull’Antartide, uno dei quattro Global Commons che rappresenta il 70% dell’acqua dolce del Pianeta Terra e il 90% dei suoi ghiacci il cui scioglimento aumenterebbe livelli del mare di 60 metri causando la più grande migrazione mai vista dall’umanità. Eppure», prosegue, «l’Antartide rappresenta anche la nostra più grande opportunità. È qui che scienziati come Carlo Barbante estraggono dati climatici (come i trend della Co2 risalenti a 800mila anni fa) essenziali per aggiornare le politiche ambientali. Questo dovrebbe spingerci a mobilitarci come abbiamo fatto con successo con la firma del Protocollo di Montreal, per garantire quelle scoperte scientifiche che contribuiscono a sovvertire il corso della crisi climatica.
Ad oggi sono oltre 200 le infrastrutture erette in Antartide e più precisamente sono 76 le stazioni scientifiche attive costruite in nome della scienza ma per lo più governate per riflettere “imperativi” nazionali. Il loro modello di governance», obietta ancora Foscari, «porta a inefficienze che non possiamo permetterci in quanto solo 1/9 delle persone schierate in Antartide è uno scienziato, solo il 14% dell’area edificata è dedicata a laboratori scientifici e solo il 15% del budget totale dei programmi nazionali operanti nel continente viene investito nella scienza.
Più della metà delle attuali stazioni antartiche sta raggiungendo la fine del proprio ciclo di vita. Se agiamo ora e abbracciamo un nuovo modello che impari dall’esempio offerto da Concordia Station (l’unica stazione condivisa nel continente), potremmo ridurre la nostra impronta contaminante e liberare risorse economiche che potrebbero essere investite nella scienza.
L’Unione Europea (nel quadro del Green Deal) potrebbe svolgere un ruolo di primo piano dal momento che 20 dei 27 Stati membri dell’Unione sono membri del Trattato Antartico e 6 delle 17 stazioni di proprietà delle nazioni Ue stanno giungendo alla fine del loro ciclo di vita. L’Europa potrebbe rafforzare la sua posizione trasformando l’esistente in stazioni antartiche europee dando priorità a urgenze scientifiche rispetto agli interessi geopolitici.
Il ruolo dell’Unione potrebbe essere ancora maggiore attraverso una politica di condivisione dei dati democraticamente ed equamente accessibili a tutti. L'Antarctic Data Space potrebbe essere un prototipo per il futuro, rivelarsi vitale per la sopravvivenza della nostra specie e salvaguardare l'esistenza stessa di città come Venezia».
Una Venezia che Foscari immagina come «Ambasciata per tutti gli Stati insulari e costieri», anche nell’ottica della recente proposta di farne la «Capitale mondiale della Sostenibilità». «Sessant’anni dopo la firma della Carta di Venezia per la conservazione del nostro costruito», afferma ancora Foscari, «proponiamo la redazione di una Carta di Venezia per i nostri beni comuni globali».