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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliTorniamo a parlare del «revival futurista», che nell’anno appena concluso ha visto numerose mostre pubbliche e private dedicate al movimento marinettiano e che troverà la sua acme nella grande esposizione «Il tempo del Futurismo», da ottobre 2024 nella Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma a cura di Gabriele Simongini (in collaborazione con Alberto Dambruoso).
Il progetto è straordinariamente ambizioso e il curatore sarebbe felice di discorrerne, ma per disposizione del ministro nulla potremo saperne finché non sarà lui stesso, Sangiuliano, primo e dichiarato promotore dell’evento, a parlarne per primo avendo deciso di identificare il suo mandato governativo con questa mostra memorabile che intende restituire i meriti del principale, più longevo e più cosmopolita movimento italiano d’avanguardia. C’è anche un significato politico: la mostra romana dovrebbe dissolvere definitivamente ombre e pregiudizi riguardo alla discussa quaestio dell’adesione ideologica dei futuristi al fascismo. Ma quanto sarà davvero nuova questa mostra, quanto inedita nell’affollato orizzonte di studi e mostre sul Futurismo degli ultimi cinquant’anni? E riconsiderare i rapporti tra l’avanguardia artistica e il regime mussoliniano farà veramente bene all’immagine dei cantori della velocità e della modernità, già da tempo sdoganati dal retaggio politico presente in talune opere, per una ricontestualizzazione puramente storica e culturale (promossa peraltro da studiosi «di sinistra»)?
Ne hanno parlato nel numero del «Giornale dell’Arte» di dicembre, oltre a Flaminio Gualdoni, due tra i maggiori tra i maggiori studiosi del Futurismo: Fabio Benzi e Claudia Salaris. Ora diamo la parola ad altri loro colleghi: Giovanni Lista, Massimo Duranti, Daniela Fonti, Ada Masoero e Luigi Sansone. Oltre al gallerista Fabrizio Russo.
Ada Masoero, storica firma di «Il Giornale dell’Arte», è curatrice di molte importanti esposizioni sul Futurismo, tra cui la mostra celebrativa del centenario del 2009 al Palazzo Reale di Milano, «Futurismo. Velocità + Arte + Azione», curata insieme a Giovanni Lista.
Quali sono i motivi storici del revival futurista dell’ultimo anno?
L’interesse per il Futurismo non è mai venuto meno, trattandosi di un’avanguardia di caratura e di diffusione internazionale sin dal suo nascere, supportata, poi, da una teorizzazione solida e densa di sviluppi che permeano tuttora la nostra realtà. Penso ai temi del dinamismo e della macchina che, volenti o nolenti, sono ancora centrali per noi; a quello, più strettamente artistico, della scultura-installazione (quel «complesso plastico» che si prolunga nell’ambiente in cui vive e che lo modifica con la sua stessa presenza) formulato da Umberto Boccioni sin dal 1912, oltre che al principio, centrale e specifico di quest’avanguardia, dell’«impollinazione» della vita quotidiana (teatro, musica, grafica, pubblicità...) con i propri modelli. Senza dimenticare l’architettura di Antonio Sant’Elia, che nel 1914 progettò città con piani stradali separati per pedoni, biciclette, tram, automobili, collegati fra loro da ascensori. Non li poté realizzare per la morte precoce, nel 1916, ma sono prova di una lungimiranza e di una progettualità a dir poco profetiche.
Quanto possono aver influito al recente successo la dichiarata simpatia del ministro Sangiuliano per il movimento marinettiano e la mostra da lui promossa per il prossimo ottobre?
Credo che il Futurismo sia abbastanza robusto per poter camminare con le proprie gambe. La mostra della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma è stata certo stimolata dal ministro Sangiuliano ma è anche vero che, dopo l’abbuffata di mostre del centenario, nel 2009, l’attenzione intorno al Futurismo si era fisiologicamente allentata, mentre gli studi procedevano. Penso fosse arrivato il tempo per questo movimento così fertile di ritrovare la luce che merita.
Leggi anche:
Il mercato del Futurismo: un interesse storico, non politico
Futurismo: le opinioni degli esperti | Giovanni Lista

Ada Masoero
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